sabato 26 agosto 2023
Anche i militari occidentali, puntando su piste e strade civili, vogliano farsi scudo di utenti inermi: uno stratagemma che complica i piani nemici e calpesta il diritto umanitario
Militari ucraini. Gli eserciti occidentali stanno cambiando le tattiche, ma i civili rischieranno ancora di più in caso di guerra

Militari ucraini. Gli eserciti occidentali stanno cambiando le tattiche, ma i civili rischieranno ancora di più in caso di guerra - Reuters

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Ormai è chiaro: la guerra in Ucraina sta obbligando gli stati maggiori euro-americani a ripensare forze e strutture degli apparati militari. Prendendo a modello l’aeronautica di Kiev, mobile e decentrata, si scommette sull’agilità e sulla dispersione dei velivoli, finora dislocati in poche basi militari, note al nemico e vulnerabili ai suoi raid. Tornano di moda gli aerodromi civili e le piste sommarie, ancora di salvezza dalle nuove minacce volanti, droni e missili su tutti.

Osservando le manovre russe fra Kaliningrad e il Baltico (9 agosto), il generale Hecker, capo delle aviazioni alleate in Europa, ha detto che l’Armata Rossa si sta addestrando a colpire aeroporti, snodi ferroviari e centri di comando in tutta Europa. I poligoni storici non sono più al sicuro. Fin dal 2021, il maresciallo dell’aria Sir Michael Wigston aveva preconizzato un futuro problematico, fatto nuovamente di manovre di decollo improvvise, con allarmi immediati ad aerei dislocati su aerodromi secondari e tronchi autostradali.

È il lato tragico di questa guerra insensata che riporta in auge pratiche cadute in disuso con il crollo del muro di Berlino.

Dal prossimo autunno, la Royal Air Force tornerà alle logiche della Guerra fredda, lasciando i campi di volo tradizionali di Coningsby, Lossiemouth e Marham e si sposterà su siti alternativi. Anche gli F-35, rari, saranno disseminati su strade secondarie, perché bisognerà farsi imprevedibili, resistenti e sfuggenti.

C’è tanta incoscienza in queste decisioni: a farne le spese potrebbero essere ancor più i civili inermi, tirati in mezzo ad eventuali bombardamenti nemici. I militari assicurano che saranno requisiti aeroporti poco trafficati e strade chiuse alla circolazione. Per abituarsi alle difficoltà crescenti, faranno leva anche su paesi amici, come Finlandia e Norvegia, scaricando su questi i costi della guerra.

Per il generale francese Philippe Moralès: «l’Europa non è più un santuario invulnerabile. Servono bunker, scudi antiaerei e mobilità di mezzi».

Ovunque ti giri, i militari dicono di non avere scelta e di essere costretti a inglobare anche le infrastrutture civili nei piani bellici: è una lezione tragica appresa dalla guerra ucraina, dove le strade servono a Kiev per i decolli e non sono risparmiati neppure gli ospedali e i centri commerciali, piegati alle esigenze belliche perché usati talvolta come depositi di armi.

Sorge il dubbio che anche i militari occidentali, puntando su piste e strade civili, vogliano farsi scudo di utenti inermi: uno stratagemma che complica i piani nemici e calpesta il diritto umanitario. Nell’ottica bellicista tanto in voga, si impone un nuovo modus operandi: l’agile “combat employment”, il combattimento decentrato, unica via per contrastare avversari strapotenti.

Nulla è trascurato, nemmeno il comando e controllo delle forze: quest’ultimo passerà per la periferia più che per il centro, imperniato su nodi molteplici, più difficili da individuare e scardinare.

Gli americani stanno mobilitando non solo l’Europa ma anche le isole del Pacifico e dell’Oceano Indiano e stanno mettendo in rete le basi sudcoreane e giapponesi.

Hanno varato da tempo il programma “rapid raptor” che consente loro di proiettare velivoli da superiorità aerea in qualunque continente in meno di 24 ore. È come se volessero tornare ai (ne)fasti della Seconda guerra mondiale, emersi fra lutti immani nelle battaglie aeree del Pacifico.




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