lunedì 30 ottobre 2023
Il maggiore Omri Attar comandò l’unità incaricata di distruggere la rete sotterranea:«Si avanza con lentezza È pieno di trappole. E oggi quell’infrastruttura è opera di alta ingegneria»
Un soldato israeliano mentre ispeziona delle macerie

Un soldato israeliano mentre ispeziona delle macerie - Ansa

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La battaglia più difficile a Gaza non è tanto con Hamas, bensì con i tunnel. «E sottolinea “con” i tunnel, non “nei” tunnel», afferma Omri Attar, maggiore 37enne che, durante la guerra del 2014, è stato comandante di compagnia della Brigata 261, incaricata di distruggere l’infrastruttura sotterranea del gruppo armato. Il che non significava demolire “il secondo piano della Striscia”, come viene chiamato: il complesso sistema di passaggi e sottopassaggi e luoghi sicuri, che scorre sotto l’enclave e si estende in un’area di oltre cinquecento chilometri, secondo quanto affermato dagli stessi miliziani. «Perché se l’avessimo fatto, l’intera Gaza City sarebbe sprofondata e così altre città della Striscia, in particolare Rafah e Khan Yunis, tutte zone dove abbiamo operato», spiega il maggiore, tra i primi ad essere richiamati al fronte dopo il massacro del 7 ottobre. Avvenire lo raggiunge al telefono mentre si trova in una zona imprecisata vicino al confine di Gaza. «In questo momento sono in auto, al sicuro – spiega –. E posso parlare».

Maggiore, in che modo, dunque, avete smantellato i tunnel?

Abbiamo cercato di individuare il maggior numero possibile di uscite dei tunnel e le abbiamo distrutte. L’operazione è molto complicata perché non può essere fatta dall’aviazione ma solo dalle truppe sul terreno. I raid possono bombardare alcune postazioni ma poi si deve esplorare il campo centimetro per centimetro. Per questo, si avanza con esasperante lentezza. Prima di fare ogni passo, devi guardarti le spalle e di lato, perché sai che là, il più delle volte, attaccherà Hamas. Anche quando poi si trova un’uscita, è necessario procedere con estrema cautela. Il più delle volte erano chiuse con trappole esplosive.

Quante uscite avete potuto intercettare quella volta?

Alcune decine. Erano mimetizzate nei posti più disparati. Molte erano all’interno delle case, delle scuole, delle moschee, degli ospedali. Ne abbiamo trovato una addirittura in uno zoo.

Tutti in questi giorni parlano dei tunnel di Hamas. Come sono?

Ci sono entrato in alcune occasioni, per effettuare le ricognizioni iniziali, non per mapparli. Sono molto profondi, lunghissimi e molto ampi. Questo è quello che ho visto nel 2014. Da allora – lo ha detto la stessa Hamas – la struttura è stata non solo riedificata ma rafforzata con il calcestruzzo e ulteriormente incrementata. All’interno passano senza problemi i fuoristrada. Non solo esseri umani, dunque, ma veicoli e attrezzature. Il che presuppone la costruzione di un’efficiente rete elettrica, idrica e, soprattutto, un buon impianto di aerazione. Quest’ultimo è fondamentale non solo per l’ossigeno ma anche per aspirare l’ossido di carbonio prodotto dai veicoli all’interno. Proprio grazie alle ventole di aerazione siamo riusciti a individuare i tunnel. Erano già sofisticati dieci anni fa. Ora saranno vere e proprie opere di alta ingegneria.

Chi sono gli ingegneri di Hamas?

Non lo sappiamo ma di certo c’è il contributo di competenze esternealla Striscia. È vero che il terreno di Gaza è permeabile e relativamente facile da scavare. È necessario, tuttavia, sapere come farlo per evitare di fare inabissare tutto. E sono necessarie risorse ingenti. Molto ingenti. Stiamo parlando di una rete da centinaia di milioni di dollari.

Se Israele dovesse realmente decidere per un’operazione di terra, per quanto tempo dovrebbe andare avanti?

Alcune delle nostre truppe sono già sul terreno. Non è facile fare previsioni sulla durata. Più di giorni e di settimane, è evidente. Sarà la guerra più lunga combattuta finora da Israele.

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