martedì 7 dicembre 2021
Intervista all'arcivescovo di Yangon
Il cardinale Bo

Il cardinale Bo - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

«Non è una sorpresa. Tutti in Myanmar sapevamo fin dall’inizio che avrebbero condannato Aung San Suu Kyi. E tutti sappiamo che le accuse mosse contro di lei non corrispondono alla realtà». Il cardinale Charles Bo parla un inglese dolce e pacato. Eppure dalla voce traspare la preoccupazione per il suo Paese sotto il giogo dei militari da dieci mesi esatti. È la terza dittatura delle Forze armate, frutto di un colpo di stato, dall’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel 1947. «C’è tanta, troppa violenza: in alcune regioni, soprattutto in Kachin e in Karen, abbiamo un vero e proprio conflitto, afferma l’arcivescovo di Yangon.

I generali, però, dicono di avere la nazione sotto controllo. Non è così?
Fin dall’indomani del golpe, una parte importante della popolazione ha dato vita a un vasto movimento di disobbedienza civile. Scuole, ospedali e altri settori chiave si sono fermati. I militari hanno reagito con durezza: oltre 1.500 persone sono state uccise e altre 4mila sono finite in carcere, secondo le organizzazioni per i diritti umani. La repressione ha portato una parte della resistenza a imbracciare le armi, soprattutto nelle aree da sempre più calde. Si sono formate brigate che attaccano non più solo i soldati ma anche i funzionari pubblici accusati di collaborazionismo. Ciò a sua volta ha incrementato ulteriormente la violenza da parte delle forze armate che intervengono con il pugno di ferro al minimo sospetto. È terribile: gli abitanti del Myanmar si stanno massacrando a vicenda, fratello contro fratello, sorella contro sorella.

La repressione ha toccato anche la Chiesa cattolica?
Alcune chiese, sia cattoliche sia di altre confessioni cristiane, sono state attaccate e, a volte, i sacerdoti vengono portati al commissariato per essere interrogati e rilasciati dopo un giorno. Finora, però, nessun prete o religioso è stato ucciso o incarcerato. Altre Chiese purtroppo hanno avuto dei pastori colpiti.

La Chiesa cattolica riesce a operare?
Dobbiamo farlo, non possiamo lasciare sola la popolazione che vive un momento durissimo, tra colpo di stato, crisi economica e pandemia. Ci concentriamo sull’assistenza umanitaria dei tantissimi che soffrono. Lavoriamo anche per la riconciliazione. La violenza non risolve niente, provoca solo un bagno di sangue. Da questa crisi non si esce con il muro contro muro bensì trovando un canale di dialogo.

Che cosa ha provato il primo febbraio scorso quando ha saputo del golpe?
Sono rimasto di sasso. Non me lo aspettavo. E come me, credo la maggior parte dell’opinione pubblica.

Purtroppo, però, non è stata la prima volta che le forze armate intervengono…
Già, rispetto al passato, anche recente, vedo un rifiuto molto netto di buona parte della popolazione. Soprattutto i giovani non sono disposti a rinunciare alla democrazia.

È pessimista sul futuro?
Sono molto amareggiato per questa spirale di violenza. Prego che il Signore ci aiuti a fermarla. Il sostegno di papa Francesco che ha parlato otto volte della nostra situazione è stato molto importante per tutti i cittadini del Myanmar, cattolici e non cattolici.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: