giovedì 23 agosto 2018
Per la prima volta il mare si è insinuato nel cuore dell’Artico. Fa sempre più caldo e nell’atmosfera si registra una concentrazione senza precedenti di gas a effetto serra, CO2 e metano
Un orso bianco (Ansa)

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Le immagini giunte dai satelliti non hanno precedenti e fanno impallidire gli scienziati. Per la prima volta, il mare si è insinuato nel cuore bianco dell’Artico, ovvero la calotta di ghiaccio a nord della Groenlandia. Un’area ritenuta finora quasi incontaminata e che sembra invece pagare gli effetti della recente calura record che ha colpito l’emisfero boreale, rendendo irrespirabile l’estate in molti Paesi.

L’habitat dell’orso bianco e delle sue prede appare così direttamente minacciato, come ha spiegato Peter Wadhams, a capo del Polar ocean physics group dell’Università di Cambridge, lanciando l’allarme sul quotidiano britannico The Independent: «In passato, gran parte del ghiaccio marino nell’Artico era pluriennale, ma adesso la quasi totalità si riforma ogni anno. L’unica zona in cui è rimasto il ghiaccio pluriennale è a nord della Groenlandia, ma quest’ultimo baluardo si è staccato e si allontana dalla costa». Per il re delle distese artiche, il rischio è particolarmente elevato, perché gli orsi non coprono grandi distanze a nuoto: «Se la lontananza del ghiaccio dalla costa divenisse permanente, non avrebbero più superficie su cui cacciare», ha sottolineato lo studioso.

Il fenomeno è coerente con le temperature record appena registrate pure in Scandinavia, dove il termometro ha raggiunto a luglio per la prima volta i 30 gradi in varie località attorno al Circolo polare artico. In Norvegia, è stato il luglio più caldo dall’inizio dei rilevamenti sistematici (1910), con 4,3 gradi sopra la media. Ma una situazione simile è stata vissuta in tutta l’Europa, con il secondo luglio più caldo di sempre: 2,33 gradi oltre la media. Nel 2010, si era registrato solo un centesimo di grado in più.

I dati provengono dalla Noaa (National oceanic and atmospheric administration), l’agenzia statunitense secondo il cui ultimo rapporto il 2017 aveva già battuto tanti record. Dalla fine del XIX secolo, è stato l’anno più torrido in assoluto fra quelli non caratterizzati dal Niño, fenomeno ciclico naturale di riscaldamento del Pacifico. Sintesi del lavoro di oltre 500 scienziati in 65 Paesi, il rapporto conclude che «i principali indicatori continuano a mostrare serie di tendenze che confermano un riscaldamento planetario».

Rispetto alle temperature medie sulla superficie terrestre nel ventennio 1981-2010, l’anno scorso si è registrato un eccesso compreso fra 0,38 e 0,48 gradi, accanto a una concentrazione senza precedenti nell’atmosfera di gas a effetto serra, come anidride carbonica e metano: 405 parti per milione, ovvero 2,2 in più rispetto al 2016. Negli ultimi 800mila anni, non si è mai avuta una concentrazione simile, come dimostra lo studio dell’aria preistorica estratta dalle “carote” di ghiaccio polare.

Fra gli allarmi concatenati lanciati dalla Noaa, anche quelli sull’innalzamento dei mari e sul numero dei cicloni tropicali. Nel 2017, sono stati 85, contro una media di 82 nel ventennio 1981-2010.

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