martedì 4 settembre 2018
La popolazione si mette in rete per offrire casa e lavoro in altri Stati ai venezuelani giunti nel Roraima. A coordinarli i volontari Joselin con Kelvin e la piccola Klegrianny
Una giovane donna venezuelana appena giunta nello Stato brasiliano di Roraima (Ansa)

Una giovane donna venezuelana appena giunta nello Stato brasiliano di Roraima (Ansa)

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Il ritmo è cresciuto nell’ultima settimana: 500 arrivi al giorno. Prima erano tra i 100 e i 300. I migranti si affrettano ad attraversare il confine e raggiungere Paracaima, prima del dispiegamento dell’esercito, deciso dal governo di Brasilia. Da lì il flusso si dirige verso Boa Vista, capitale dello Stato del Roraima. In città, ormai, i venezuelani sono il 10% della popolazione. Tanti vivono per strada, mendicando. Due settimane fa, nella zona, si sono registrati attacchi xenofobi, rimbalzati su tutti i media internazionali. Lontano dai riflettori, però, da mesi, proprio dalla remota Boa Vista è partita una mobilitazione spontanea per accogliere i nuovi arrivati. A fare da centro di coordinamento non ufficiale delle varie iniziative è Fraternidade sem fronteiras, creata da Walter Moura nel 2009. A Boa Vista, l’organizzazione ha aperto i battenti l’anno scorso con un rifugio per 300 migranti. Ben presto, però, Moura si è reso conto che troppi restavano fuori. Date le magre risorse, era impossibile aiutarli con i sistemi tradizionali. La Fraternidade, dunque, si è ingegnata a creare una rete di solidarietà dal basso. «Tanti chiedevano come potevano darci una mano, così è nata l’idea delle “adozioni” », spiega Moura. Lidia, psicologa di Belo Horizonte, ha conosciuto l’associazione durante una missione a Boa Vista, dove ha toccato con mano il dramma dei venezuelani. «Ho incontrato una coppia: Kelvin e Joselin. Klegrianny, la figlia più piccola, di tre mesi, aveva una grave bronchite. I genitori l’avevano portata via dal Venezuela, insieme al fratellino Kelvin, dove le medicine sono introvabili, proprio per curarla. A Boa Vista, però, i servizi sociali erano al collasso», racconta la giovane. Tornata a casa, Lidia ne ha parlato con gli amici. «Da soli, nessuno poteva farci niente. Insieme, invece – eravamo una sessantina –, avremmo avuto la forza per portare la famiglia a Belo Horizonte. Ognuno ha messo ciò che poteva. Con il denaro raccolto, siamo riusciti ad affittare, arredare e coprire le spese per sei mesi. Oltre a curare la bambina». Nel mentre, Lidia e gli altri “padrini” hanno aiutato Kelvin e Joselin a imparare la lingua e a trovare un lavoro, in modo che, entro un anno, possano rendersi autonomi. Lo stesso hanno fatto Joyce e amiche – che si autodefiniscono le Amigas do bem – per Héctor, Luis Nelson, Teoscare e Dick, adottati e portati a Campinas, vicino a San Paolo.

«Abbiamo visto in tv le immagini dei venezuelani in Roraima. Così abbiamo contattato la Fraternidade », afferma. Quest’ultima paga i costi dei viaggi dei migranti nelle località brasiliane dove i “padrini” si organizzano per accoglierli. Mentre l’atteso ricollocamento ufficiale stenta a partire, in meno di 4 mesi, grazie alle adozioni, la Fraternidade ha sistemato 140 famiglie. «Dietro ogni storia ci sono decine di persone comuni che si sono attivate in forma del tutto spontanea – conclude Gilmara Leite della Fraternidade –. E molte altre si stanno mobilitando. Gente semplice, senza grandi risorse. Una lezione di umanità in un momento in cui il mondo sembra avere scordato il significato di questa parola...».

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