sabato 12 febbraio 2011
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18 giorni che hanno cambiato la storia dell’Egitto, e che probabilmente modi­ficheranno gli assetti strategici di tutto il Medio Oriente, sono iniziati in sordina tra le righe della rivolta tunisina. Per giorni interni i giovani egiziani hanno guardato con ammirazione e invidia quan­to accadeva a Tunisi, maturando la consa­pevolezza della possibilità di una svolta che si stava affacciando in Nord Africa. A metà gennaio, quando la destituzione del presi­dente tunisino Ben Ali segnava la vittoria della “Rivoluzione dei gelsomini”, hanno preso coraggio. E sono passati dalla Tv ai computer.La rivolta è iniziata così, di tastiera in tastie­ra, su blog e social network. I Fratelli mu­sulmani, principale gruppo di opposizione al Cairo, nemmeno si erano accorti del ri­mestio di frustrazione rabbia che stava coa­lizzando sul Web la parte più giovane e vita­le del Paese. Chiusi nelle loro prospettive i­deologiche, non erano in piazza quando, il 25 gennaio, il movimento di protesta nato su Internet proclamava la «Giornata della col­lera », dando vita alle prime manifestazioni per chiedere la fine del regime di Mubarak. Quel giorno, quindicimila ragazzi sceglieva­no piazza Tahrir come il luogo in cui tutto sa­rebbe ricominciato.Le «Giornate della collera». La Giornata del­la collera vien presto declinata al plurale, perché i manifestanti non ci mettono mol­to a capire che indietro non si torna, che “si può” andare sino in fondo, come in Tunisia. Le «Giornate della collera» si estendono co­sì al 26 e 27 gennaio, con manifestazioni par­tecipate al Cairo e nelle altre città. Il regime di Mubarak non perde tempo: agenti in as­setti anti-sommossa, lacrimogeni, proietti­li di gomma e colpi di arma da fuoco spara­ti in aria entrano nelle cronache egiziane co­me fu, a suo tempo, per quelle tunisine. Mohammed el-Baradei, ex direttore dell’A­genzia internazionale per l’Energia atomica e uno dei leader più rispettati dell’opposi­zione egiziana, rientra in tutta fretta al Cai­ro. Migliaia di manifestanti lo accolgono fe­stanti all’aeroporto: cercano un volto per la rivoluzione.Il blocco delle comunicazioni. Il 28 gennaio entrano in scena i Fratelli musulmani. Con un tentativo maldestro di recuperare il ri­tardo di sensibilità, proclamano il «Venerdì della collera» e tentano di strutturare politi­camente la rivolta. Il regime, intanto, non molla e con una reazione lenta e tardiva im­pone un blocco totale di Internet e telefonia. È la prima volta al mondo che un Paese in­tero viene completamente “sconnesso”, iso­lato. La censura, peraltro efficacemente by­passata dai giovani della rete, suscita la vio­lenta reazione della Comunità internazio­nale, Stati Uniti in testa, che chiedono alle autorità del Cairo di rimuovere immediata­mente i blocchi. Mubarak tenta un’apertu­ra nominando vice-presidente il capo dei Servizi segreti Omar Suleiman. Ma gli scon­tri proseguono. E il regime interviene con la mano pesante: 100 le vittime della repres­sione secondo fonti indipendenti, 300 se­condo l’Onu.La «Marcia del milione». Il primo febbraio scendono in piazza al Cairo oltre due milioni di persone. La “Marcia del mi­lione” segna la svolta nella ri­volta egiziana: per la prima vol­ta in trent’anni l’ipotesi che il “Faraone” se ne vada diventa una possibilità concreta. Piaz­za Tahrir è percorsa da un brivido quando viene annunciato un discorso di Mubarak alla nazione. Qualcuno pensa alle dimissio­ni. Non sarà così: il rais annuncia che non si ricandiderà alle elezioni di settembre, pro­mette riforme, ma resta al suo posto.Il rischio guerra civile. In piazza comincia­no a comparire i primi cortei pro-Mubarak. I fedelissimi del regime attaccano i manife­stanti in piazza Tahrir. Almeno dieci perso­ne muoiono negli scontri tra fazioni. Il ri­schio di una guerra civile attraversa il Paese.Il «Venerdì della partenza». Due milioni di persone tornano in piazza al Cairo. È il «Ve­nerdì della partenza», anche se il presiden­te Hosni Mubarak non parte per nulla. Si di­mettono però tutti i vertici del suo partito, il Pnd. Sono le prime crepe che sgretoleranno l’apparato. Suleiman tenta un dialogo con le opposizioni, annuncia due Commissioni in­dipendenti che faranno le riforme. Ma il rais resta dov’è. E la protesta si rafforza. I mani­festanti si ac­campano in piazza Tahrir, determinati a non andarsene fino alle dimis­sioni del presi­dente.Il discorso alla nazione. Il 10 febbraio fonti ufficiali annunciano che alle 21 Mubarak parlerà alla nazione per annunciare le sue di­missioni. Piazza Tahrir esulta di gioia. Poi la doccia fredda. In tarda serata il rais compa­re in Tv: si dice pronto a cedere i poteri ma annuncia anche di voler restare al suo posto. Qualcuno parla di un messaggio registrato. Qualcuno dice che è solo un ultimo, estre­mo, tentativo di restare in sella. Ma la rab­bia esplode tra i manifestanti. Si trasformerà in euforia il giorno dopo, quando verranno annunciate le dimissioni di Mubarak. La fi­ne di un regno durato 30 anni. Una caricatura di Hosni Mubarak viene issata dai giovani su un semaforo nel centro del Cairo (Epa)
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