lunedì 1 febbraio 2010
Il nunzio apostolico Auza nell'intervista esclusiva ad Avvenire: serve un Piano Marshall per la ricostruzione. Si teme che dopo l’ondata di emozione seguita al terremoto subentri una progressiva dimenticanza. «È invece necessario un massiccio aiuto della comunità internazionale». Intanto scoppia la polemica sull’assistenza ai sopravvissuti.
COMMENTA E CONDIVIDI
L’Italia, e il mondo, non si dimentichino di Haiti. E si lanci un nuovo "piano Marshall" per favorire la ricostruzione. È l’appello che a tre settimane dal sisma devastante che ha colpito lo sfortunato Paese caraibico lancia il nunzio apostolico di Port-au-Prince, l’arcivescovo Bernardito Auza. Il giovane rappresentante pontificio, compirà 51 anni a giugno, riesce a comunicare solo via internet. È indaffaratissimo a girare per cercare di aiutare la Chiesa e la popolazione locale, per cercare un bulldozer o «mostri simili» che aiutino a recuperare corpi e rintracciare documenti, per «cercare soldi, ambulanze, medici e altre cose...» che favoriscano l’assistenza per chi è sopravvissuto. Con Avvenire comunque si è ritagliato un piccolo spazio di tempo per ripercorrere le fasi salienti del dramma vissuto in prima linea e per auspicare che il mondo non spenga i riflettori sul dolore del popolo haitiano. Il nunzio ricorda come il terremoto del 12 gennaio ha reso Port-au-Prince «irriconoscibile, senza la cattedrale che dominava tutta la città, senza il Palazzo nazionale più imponente della Casa Bianca, senza il santuario del Perpetuo Soccorso dove i devoti accendevano candele e si alzavano le mani davanti alla Madonna...».Erano le 16.53 e la grande scossa è durata circa 45 secondi. Quasi subito Auza ha cercato di raggiungere l’arcivescovo di Port-au-Prince, monsignor Joseph Serge Miot. Ma le strade erano bloccate e solo dopo tre ore era riuscito a raggiungere l’arcivescovado. «Ma ho visto la residenza ridotta ad un cumulo di macerie». E il corpo esanime di Miot era lì sotto.Il nunzio ribadisce che la Chiesa cattolica e lo Stato sono stati duramente colpiti, ma c’è la determinazione «a ricostruire e, spero, ad uscire "migliorati" e migliori di prima da questo cataclisma». «In questo momento – racconta – siamo ancora presi dai lavori più immediati: seppellire i morti, recuperare i corpi sotto le macerie, visitare le vittime, rispondere alle innumerevoli richieste di aiuto». «Ma gli haitiani saranno ancora una volta dimenticati una volta spenti i riflettori? Il timore che sarà così – ammette Auza – è reale, e non sarebbe una sorpresa se sarà così. Ma spero davvero che questa volta l’assistenza internazionale sarà a lungo termine, che oltre l’acqua ed i biscotti di questi giorni, ci sarà l’impegno disinteressato di dotare il Paese con infrastrutture più solide. Quando dico "infrastrutture", non riferisco solo alle strade, ma anche e soprattutto a un sistema educativo migliore e a un servizio sanitario migliore». Si parla molto di un "Piano Marshall" per Haiti. L’idea piace al rappresentante del Papa: «La distruzione di capitale e dintorni è talmente vasta che una strategia di ricostruzione simile al Piano Marshall sarebbe l’unico modo per far uscire Haiti dal suo sottosviluppo, soprattutto per evitare che il Paese diventi ancora più povero che prima del terremoto».Da qui l’appello concreto di monsignor Auza: «Aiutateci a ricostruire le nostre istituzioni. Per scegliere quale ricostruzione aiutare, avete solo l’imbarazzo della scelta: la cattedrale di Port-au-Prince, le chiese, le case parrocchiali, i nostri due seminari maggiori, le nostre numerose scuole, le case religiose che il terremoto ha completamente rasi al suolo o ha completamente messo fuori uso».Insomma: «Tre settimane dopo la grande scossa, i riflettori cominciano a spegnersi. Non spegnete la solidarietà con il popolo haitiano, silenzioso nelle sue sofferenze, sempre speranzoso malgrado la sua spaventosa povertà».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: