
Iliana Joseph vive in Italia dal 1996 - undefined
«Viviamo nel terrore. Il popolo haitiano non ha più forze, e non sappiamo più dove trovare la speranza». Iliana Joseph raccoglie un doppio dolore: quello di un popolo devastato e quello di chi, da lontano, ogni giorno sente arrivare notizie peggiori. «Stiamo parlando di decenni di crisi politica e umanitaria, ma questa volta sembra che non ci sia una via d’uscita». Nata a Port-de-Paix, da circa 30 anni vive in Italia, ma Haiti, la sua isola, le scorre dentro. «Sono arrivata in Italia nel 1996, anno in cui è nato il mio primo figlio, insieme a mio marito, che è italiano ma lavorava ad Haiti». «Quando sono arrivata qui ho capito che serviva qualcuno che raccontasse cosa stava accadendo ad Haiti e ho sentito il bisogno di dare voce personalmente a chi non l’aveva». Da quella consapevolezza, nel 2009 nasce Haititalia, un'associazione creata insieme ad altre famiglie haitiane a Como, oggi con sede a Settimo Torinese, di cui è attualmente presidente. Dopo il terremoto del 2010 l’associazione diventa un riferimento stabile. Per le istituzioni, per il territorio, per chi arriva. Negli anni, Haititalia ha organizzato progetti di sviluppo, corsi di creolo, sportelli informativi, incontri culturali. Ha dato spazio alla memoria: la battaglia di Vertières, l’indipendenza, la festa della bandiera. «Aiutiamo chi arriva qui a non sentirsi solo. Provo a dare quel sostegno che io non avuto io». Negli ultimi anni, sono diventati un punto di riferimento anche all’interno della Chiesa. «Nel novembre del 2023, quando papa Francesco incontrò migliaia di bambini provenienti da tutto il mondo, siamo stati invitati a partecipare e avremmo voluto portare dei bambini provenienti da Haiti, ma nonostante l’aiuto del Vaticano, la situazione non lo permetteva. Abbiamo accompagnato 19 bambini haitiani che vivono in Italia». Uno di loro, Christ, domandò a Papa Francesco: «Chi ci insegnerà a rispettare il pianeta, se gli adulti non lo fanno?», lasciando in dono un "tap-tap", il camioncino colorato tipico haitiano.

Joseph oggi è consigliera comunale a Settimo Torinese, lavora come mediatrice culturale, e ha fondato la piattaforma Lakou.it – una parola che in creolo significa “cortile”, ma nella quale si fonde l’idea di casa, di appartenenza, di comunità – dove offre corsi di lingua e cultura creola, consulenza per le pratiche e assistenza per le adozioni. «Accompagno le famiglie ai colloqui con i bambini, preparandoli e formandoli a una cultura diversa». Ad oggi le adozioni sono praticamente bloccate. Le autorità haitiane non riescono più a dialogare con quelle estere a causa dell’instabilità nel Paese. «Gli ultimi bimbi sono arrivati a Roma nel giugno dell’anno scorso. Sono ancora senza documenti perché le bande armate hanno bruciato l’ufficio dell’autorità centrale per le adozioni internazionali». Secondo gli ultimi dati Unicef 1,2 milioni di bambini vivono sotto la costante minaccia della violenza armata. Il reclutamento di bambini da parte di gruppi armati è aumentato del 70 per cento e la violenza sessuale sui minori del mille per cento negli ultimi anni. «Molti bambini haitiani faticano a dormire la notte o hanno incubi. Prima capitava perché, come avviene nella nostra cultura, spesso gli anziani raccontavano nel lakou – nel cortile – brutte storie riguardanti il passato. Oggi quelle storie le vivono sulla loro pelle: sentono gli spari, molti orfanotrofi vengono assaltati e vivono il trauma della guerra». Proprio per rispondere a una richiesta di supporto psicologico Haititalia sta cercando di avviare un progetto di assistenza a distanza: «È un piccolo aiuto che vorremmo dare perché questa figura di supporto non esiste quasi ad Haiti ed quando c’è è molto costosa». Dalle parole di Joseph si sente il peso di una diaspora che incontra sempre più difficoltà a far arrivare il proprio sostegno. Perfino le rimesse, che rappresentano oltre il 20% del Pil, arrivano a fatica. «Le famiglie fanno giorni di coda. Poi si sentono dire che non c’è credito. Ma quando devi comprare medicine, non puoi aspettare». Joseph come mediatrice era abituata a tornare ad Haiti ogni sei mesi. «Dal 2020 non c’è possibilità di entrare nella città in cui sono nata, nel nord-ovest dell’isola: i pullman vengono assaltati, le persone prese in ostaggio e uccise. Non aspetto altro che poter tornare a casa».
Un gesto per i Figli di Haiti: aiuta ad andare a scuola i bimbi della Maison des Anges, l’orfanotrofio sfollato
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