venerdì 7 luglio 2023
Appello dell'Onu per lo Stato che si è letteralmente liquefatto a due anni dall'omicidio del presidente Moïse. Un gruppo armato ha fatto irruzione nell'ospedale di Msf per portare via un ferito
Il fango nella via principale di Leogane

Il fango nella via principale di Leogane - Ansa

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Nella notte tra giovedì e ieri, una ventina di uomini armati ha fatto irruzione nell’ospedale di Medici senza frontiere (Msf) di Tabarre, quartiere di Port-au-Prince. Una volta entrati, si sono introdotti in sala operatoria e hanno portato via il giovane ancora sotto anestesia al termine di un intervento per varie ferite di proiettili, ricoverato il giorno precedente. L’Ong-Premio Nobel è stata costretta a fermare temporaneamente le attività nella clinica. «Come possiamo continuare a curare le persone in un simile contesto?», ha tuonato Mahaman Bachard, responsabile di Msf ad Haiti, dove si simili episodi sono quotidiani. Letteralmente «un incubo ad occhi aperti», come ha detto António Guterres. Dal Palazzo di Vetro, ieri, ha voluto lanciare un ennesimo grido d’allarme per l’isola da cui è appena rientrato. Il segretario generale ha deciso stavolta di muoversi in prima persona per cercare di convincere la recalcitrante comunità internazionale a «creare le condizioni per schierare una forza multinazionale» nel Paese più povero e ormai più violento dell’Occidente. «Non parlo di una missione militare o politica dell’Onu – ha aggiunto, a scanso di equivoci –. Ma di un consistente dispiegamento da parte degli Stati membri di forze di sicurezza che lavorino insieme alla polizia nazionale haitiana per smantellare le gang e restaurare la sicurezza». Almeno un minimo.

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Sono trascorsi esattamente due anni – ieri – dall’omicidio mai chiarito di Jovenal Moïse. Un presidente controverso. La sua smania di restare al potere gli ha alienato il consenso di una parte della stessa élite che lo aveva scelto. Soprattutto, però, Moïse ha reso endemico il “tradizionale” ricorso alle bande da parte dei politici per cooptare il consenso. Fino a perderne totalmente il controllo. Ormai ben armate, queste ultime hanno dato vita a un conflitto del tutti contro tutti per accaparrarsi brandelli di Port-au-Prince da cui estrarre risorse – umane, cioè soldati da reclutare con la forza – e materiali, con sequestri ed estorsioni. Oltre l’80 per cento della capitale è nelle loro mani cruente. Il terrore – con massacri, esecuzioni extragiudiziali, stupri di massa – è lo strumento principale con cui ottengono l’obbedienza di quanti non riescono a fuggire, aggiungendosi al fiume già enorme di 128mila sfollati interni nella sola capitale. Abusi documentati fin nei più macabri dettagli dalla missione Onu nel Paese (Binuh), da numerose Ong, dalla Chiesa. Da aprile il contesto si è ulteriormente complicato con la comparsa di milizie di cittadini armati responsabili – secondo la speciale rappresentante Onu per Haiti, María Isabel Salvador – della morte di 265 persone sospettate di essere parte delle gang. Molti di questi sono stati linciati per strada. La guerra, invisibile all’opinione pubblica occidentale quanto reale, ha trasformato l’emergenza umanitaria cronica in catastrofe: 5,2 milioni di abitanti, di cui tre milioni sono bambini, hanno necessità di assistenza per sopravvivere.


A dargliela non può essere lo Stato che si è letteralmente liquefatto dal 2021: nel Paese non c’è più alcun rappresentante eletto, il potere giudiziario è bloccato mentre l’autorità del premier, Ariel Henry – subentrato al presidente assassinato – è poco più che nominale. Il Consiglio di transizione, instaurato alla fine del 2022 su pressione della comunità internazionale, nonostante le buone intenzioni, non riesce a incidere. «È facile capire perché oltre il 90 per cento della popolazione, in questa situazione, sia favorevole a un intervento delle Nazioni Unite, nonostante gli errori del passato», racconta suor Paesie, al secolo Claire Joelle Phillipe, residente ad Haiti dal 1999 dove ha fondato la Famiglia Kizito per la tutela dell'infanzia. Dopo quasi un anno di stallo, dopo il viaggio di Guterres, l'ipotesi della missione sembra riprendere quota. Henry, al ritorno dal vertice di Trinidad e Tobago dove ha incontrato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha parlato di «una soluzione più vicina per la sicurezza». Nel frattempo i combattimenti proseguono, concentrati soprattutto nell’ovest della capitale, a Gran Ravine e Carrefour. Cité Soleil, invece, è incredibilmente pacifica dal 28 giugno, dopo settimane di battaglia.

Per la prima volta dopo oltre un anno, le persone possono perfino passare le “frontiere” tra le aree controllate dalla banda di G9 e quelle “appartenenti” a Gpep. «L’ho fatto anche io e quasi non ci credevo – aggiunge –. Le vedette delle gang sono ancora al loro posto. Ma non sparano». Pierre Esperance, noto attivista per i diritti umani, sostiene che l’artefice della tregua – ben remunerata – sia l’ex presidente ed ex patron di Moïse, Micheal Martelly, nella speranza di vedersi alleggerire le sanzioni comminate nei suoi confronti dal Canada. Una pace cosmetica, dunque, tragicamente precaria. Quella vera deve ancora attendere.

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