venerdì 30 settembre 2022
L’annessione ufficiale delle quattro zone occupate e l’offerta di trattative dopo un cessate il fuoco segnano una svolta. Tre ragioni per cui il voto farsa avrà gravi conseguenze
Guerra, giorno 219: l’atto di forza di Putin che mette il mondo a un bivio
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Il giorno 219 della guerra in Ucraina segna probabilmente uno spartiacque, con le parole pronunciate dal presidente Vladimir Putin in una celebrazione festosa che contrasta con i morti sul campo di battaglia, i civili inermi colpiti, come è accaduto con un convoglio umanitario a Zaporizhzia, e la fuga di cittadini russi che non hanno intenzione di essere arruolati.

"Voglio che mi sentano a Kiev, che mi sentano in Occidente: le persone che vivono nel Lugansk, nel Donetsk, a Kherson e Zaporizhzhia diventano nostri cittadini per sempre", ha scandito il capo del Cremlino, aprendo la cerimonia di firma dei trattati di annessione a Mosca delle quattro regioni ucraine occupate. E poi quella che sembrerebbe un’inedita apertura, anche se pesantemente limitata da condizioni capestro poste a Zelensky: l’Ucraina deve "cessare il fuoco cominciato nel 2014, siamo pronti a tornare al tavolo dei negoziati”. Ma la scelta dell'annessione della popolazione delle quattro regioni ucraine non sarebbe oggetto di trattativa.

Putin ha condito gli annunci con la retorica della grande potenza che riprende il posto che le compete nel mondo e ridà orgoglio ai suoi cittadini: “L'Unione Sovietica è passata e non tornerà. Ma i russi che vivono al di fuori dei confini della Russia possono tornare alla loro patria storica. L'amore per la Russia è un sentimento indistruttibile”. E poi l’immancabile sfida all’Occidente che vorrebbe sottrarre alla Federazione il ruolo che le compete, schiacciarla e umiliarla, cosa che il presidente non permetterà che accada.

Una prima lettura di queste affermazioni riporta alla lettura del conflitto che si fa da tempo: Mosca ha capito che non è in grado di proseguire in queste condizioni (nelle stesse ore dei festeggiamenti sta per cadere la roccaforte strategica di Lyman) e si deve “accontentare” della conquista del 15% dell’Ucraina, per poi sedersi da vincitrice a un tavolo dove non ci sarebbe più molto da negoziare, se non qualche meccanismo formale di mantenimento dello status quo con l’Ucraina fuori dalla Nato. Scenari, comunque, per ora lontani.

Attualmente, si può dire che con l’annessione ufficiale nella Federazione russa delle quattro regioni ucraine di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk si compie un passaggio fondamentale nella crisi avviata il 24 febbraio con l’invasione decisa da Putin. In realtà, poco prima di dare il via libera ai missili e ai carri armati, lanciati contro il popolo fratello senza una plausibile giustificazione, il Cremlino aveva “riconosciuto” l’indipendenza delle autoproclamate Repubbliche autonome di Dometsk e Lugansk. Tali entità erano a loro volta frutto di un’altra invasione, condotta nel 2014, che portò all’annessione della Crimea tramite un voto al di fuori della legalità internazionale come quello fatto svolgere nei giorni scorsi nel Donbass e nel Sud del Paese.

L’enfasi celebrativa con cui è stato sancito l’atto di “espropriazione” di territori e, soprattutto – non va dimenticato – di popolazioni, risulta proporzionale alla violazione dei principi di sovranità e convivenza fra Stati, per come sono stabiliti per esempio dallo Statuto delle Nazioni Unite. Paradossalmente, la Russia siede nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, con la quale si mette in palese contrasto e dei cui principi dovrebbe essere garante. Non si può quindi sottovalutare la portata del momento almeno per tre ordini di ragioni.

In primo luogo, c’è un elemento di ingiustizia e prevaricazione. Il referendum è stato indetto da un’autorità di occupazione militare mentre ancora i combattimenti sono in corso. Il preavviso è stato minimo, non c’è stata possibilità di una “campagna elettorale” in cui favorevoli e contrari all’annessione avessero l’opportunità di esporre gli elementi a sostegno delle loro posizioni. Il voto si è svolto in modo non libero né personale né segreto, come prescrive per esempio la nostra Costituzione. Sotto la minaccia diretta delle armi o di rappresaglie o di pesanti conseguenze future, gli abitanti che sono rimasti e quelli che sono sfollati o “deportati” in Russia hanno una scelta che non è vera espressione della volontà popolare, che è sempre da rispettare. Ma non c’è solo questo. La copertura pseudolegale dell’inglobare nei confini di Mosca le 4 regioni ucraine permetterà ora di “russificarle”. Significa modificare i programmi scolastici, ma anche reclutare i giovani per mandarli a combattere contro i loro connazionali, ovvero fare esattamente, e in misura maggiore e più violenta, quello che Putin accusava l’Ucraina di commettere ai danni dei cittadini russofoni.

Il secondo ordine di ragioni per cui è particolarmente allarmante l’annessione di Kherson, Zaporizhzhia, Donetsk e Lugansk riguarda lo scenario bellico. Kiev ha già affermato che, come l’intero fronte occidentale, non riconoscerà la validità dei referendum. E quindi proseguirà la controffensiva per la riconquista delle zone invase dalle truppe della Federazione, mentre Usa ed Europa continueranno a fornire armi e ad autorizzare il loro utilizzo nelle zone dichiarate russe. Ciò potrebbe indurre Putin a ricorrere alle armi nucleari tattiche, che la dottrina di sicurezza del Cremlino prevede quando sia messa a rischio la sicurezza del territorio patrio. Ovviamente, si tratta di una giustificazione per il superamento della linea rossa atomica che può essere spesa solo per il fronte interno, stante la palese illegalità dei nuovi confini unilateralmente modificati. Tuttavia, le difficoltà in cui si trova sul campo l’esercito russo, unite all’idea nazionalistica e imperialistica sottesa all’“operazione militare speciale” ormai diventata guerra aperta, possono indurre Putin a considerare come realistica l’opzione nucleare. Con l’ulteriore paradosso di essere il primo Paese a spararsi in casa – ovvero nei territori contesi e ora inglobati - una bomba atomica. O, altrimenti, di sganciarla con l’intento – remoto per ora – di colpire altre zone dell’Ucraina e quindi di scatenare una reazione della Nato e, politicamente, del mondo intero.

In terzo luogo, l’annessione è un vulnus permanente al diritto internazionale, perpetrato senza attenuanti e foriero di ulteriori effetti. Se rimarrà in essere in queste modalità e consolidato, creerà ulteriori precedenti delle ragioni della forza che si impongono su qualsiasi forma di sovranità e legalità, pur all’interno di una cornice formale come quella delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa di cui sia Ucraina sia Russia fanno parte. Può diventare un metodo la guerra di conquista ammantata da liberazione di popolazione fintamente consenzienti?

Nella tragedia del conflitto nel cuore dell’Europa si allarga una ferita che sarà difficile rimarginare senza una creatività umanitaria e diplomatica che ancora non ha partorito la possibile soluzione.

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