domenica 29 maggio 2011
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«La maggior parte della risposta all’Aids è centrata su medicinali e condom piuttosto che sui comportamenti». In questa frase si riassume l’approccio del professor Edward Green, statunitense, direttore del The New Paradigm Fund di Washington, già ricercatore ad Harvard, antropologo di formazione. A suo avviso le tecnologie, dalle medicine ai mezzi meccanici, non sono tanto efficaci a ridurre la diffusione dell’Aids quanto i cambiamenti nei comportamenti delle persone.Quale è l’approccio a suo avviso dominante oggi per la prevenzione?La prevenzione oggi si fa mettendo a punto una serie di tecnologie biomediche accompagnate dalla diffusione di prodotti. Vuol dire che si preferisce un approccio sui prodotti piuttosto che sui comportamenti.Stiamo parlando dell’Africa?Sì. Nell’Africa subsahariana oggi l’infezione si trasmette attraverso i rapporti eterosessuali. I dati che abbiamo a disposizione e le ricerche e gli studi ci dicono che ad esempio in Uganda l’Aids cala in quanto è stato ridotto il numero dei partners sessuali. E l’Uganda è il Paese col più ampio tasso di diminuzione. Nessun altro fattore – tipo l’utilizzazione del condom – produce un calo così forte.Cosa risponde alla possibile accusa di moralismo?Nella richiesta di un cambiamento nelle priorità sulla prevenzione dell’Hiv non è necessario avere un punto di vista moralistico perché qui stiamo parlando dei fattori di crescita o decrescita. Diciamo soltanto che persone con approcci diversi, etici, religiosi, scientifici, possono convergere sulle evidenze epidemiologiche. Dunque il cambiamento dei comportamenti? Tutto qui?È importante cambiare i comportamenti sessuali e mobilitare le diverse organizzazioni, sia quelle religiose, sia quelle tradizionali (come ad esempio i gruppi tribali) se vogliamo ottenere dei risultati. Sempre in Africa non è la prostituzione a far aumentare i casi di infezione. I casi che abbiamo riguardano la popolazione in genere, non particolari gruppi a rischio come prostitute, prostituti, tossicodipendenti. Abbiamo tassi di infezione su uomini o donne con due o più partners regolari. Dunque il cambiamento dei comportamenti è centrale. Il presidente ugandese Museveni già alla fine degli anni Ottanta sottolineava che la prevenzione è possibile per ogni individuo, se cambia comportamento. Dunque la migliore risposta si trova nei comportamenti e nei valori soggiacenti come ad esempio il rispetto e la responsabilità.Quale è il ruolo delle organizzazioni religiose?Soltanto loro vanno ripetendo, con coerenza, negli anni, che fedeltà ed astinenza sono gli strumenti più forti per ridurre il rischio ed il contagio.È vero però che esiste un pregiudizio contro questo approccio di tipo umanistico.È il caso di Faith Alive, in Uganda. È un’organizzazione cattolica che non ha accesso ai finanziamenti perché tutto il problema viene ridotto alla dicotomia condom sì-condom no. Invece Faith Alive fa vedere che l’Aids in Uganda è associato ad altre problematiche: famiglie sfasciate, alcolismo, violenza sessuale, abusi sui minori. I programmi cattolici cercano di andare alla radice dei problemi e cambiare i comportamenti.Qual è la sua posizione sul condom?Penso che può servire per quanti non riescono ancora ad attuare una relazione impostata sulla fedeltà. Ma non può restare lo strumento primario di prevenzione in Africa. Come ho scritto sul Washington Post tempo addietro, conservatori e liberali sanno che il condom non può portare quei cambiamenti nei comportamenti necessari per porre fine alle violenze, ai rapimenti, alla coercizione sessuale. Sono tutti problemi sui quali la Chiesa può intervenire.
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