domenica 28 novembre 2010
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Il volto è imberbe, la costituzione fisica ancora in formazione. Sarà alto non più di un metro e cinquanta e la sua voce è quella di un adolescente. Non serve un esperto per capire che Rahim ha meno di 18 anni. Lui ne dichiara 14, mentre inizia a raccontare la sua odissea, dall’Afghanistan fino all’espulsione dall’Italia.Siamo a Patrasso, il porto ellenico dove migliaia di migranti tentano ogni giorno la sorte, nascondendosi sotto i Tir che si imbarcano verso i porti italiani di Brindisi, Bari, Ancona e Venezia. La valvola migratoria di un Paese, la Grecia, che negli ultimi due anni è divenuta la porta d’ingresso principale verso l’Europa. Secondo dati diffusi dal quotidiano inglese The Guardian, 8 migranti irregolari su 10, tra quelli fermati quest’anno in Europa, sono entrati dal confine turco-greco. Rahim è uno di loro. Dorme in un vagone abbandonato della ferrovia, un mucchio di binari dismessi, a pochi metri dal porto. Qui si sono accampati centinaia di afghani, algerini, tunisini, sudanesi e somali dopo che, esattamente un anno fa, nell’autunno del 2009, la polizia greca decise di smantellare l’enorme campo profughi nel quale risiedeva la comunità migrante in attesa di salpare per l’Italia. «Io in Italia ci ero arrivato – testimonia Rahim –, ma mi hanno rimandato indietro». Il suo nome per esteso è Heiad-Rahim Seihedan e viene da Nigrar, nell’Afghanistan pashtun. Lo leggiamo scritto su un documento che gli è stato rilasciato il 1° giugno 2010 dal governo greco, nel centro di detenzione di Alexandroupoli. Nulla più di un pezzo di carta, scritto interamente in greco, che dà trenta giorni di tempo per abbandonare il Paese a ogni migrante irregolare. La data di nascita riportata è il 1° gennaio 1991. Ma Rahim ha strappato la carta in corrispondenza dell’anno e sul retro del foglio ha scritto un’altra data: 16 gennaio 1996. L’ha mostrata alla polizia, ad Alexandroupoli, per indicare la sua età corretta. Ma è stato inutile. Così come inutile è stato cercare di dirlo alla polizia di frontiera italiana. «Era una sabato, il 26 giugno scorso – racconta – sono riuscito a nascondermi dentro un Tir che trasportava arance, sotto alcune cassette. Il camion è salito su un traghetto della linea Endeavor». Rahim non ricorda il porto nel quale è sbarcato. Ma il dettaglio del traghetto è importante, perché l’unico porto italiano servito dal vettore Endeavor è quello di Brindisi. «Siamo partiti alle 4 del pomeriggio – dice ancora Rahim – e siamo arrivati la mattina di domenica 27 giugno. Il Tir è rimasto fermo per due ore, poi è sbarcato dalla nave e la polizia lo ha controllato. Hanno aperto il portellone, sono saliti e mi hanno trovato. Non mi è stata data la possibilità di essere intervistato. E non mi è stato fatto l’esame del polso, benché avessi dichiarato di avere 14 anni. Mi hanno chiesto solo il nome, da dove venivo e se avevo le impronte in Grecia. Gli agenti erano due, vestivano una divisa della Polizia. Uno era magro, l’altro più corpulento, di statura normale, con pochi capelli, sui 30 o 35 anni. Quello magro ha scattato delle fotografie al Tir e ha compilato un foglio».Rahim parla solo pashtun. A tradurre in inglese, accanto a lui, c’è l’amico Hussain. Anch’egli viene da Nigrar e anch’egli è minorenne. Dice di avere 16 anni. Ma, soprattutto, anch’egli dichiara di essere stato respinto da un porto italiano. «Non ricordo con precisione la data – racconta –, ma doveva essere attorno al 10 di giugno. Io mi ero nascosto dentro un Tir di angurie, assieme ad altri due ragazzi. La nave era una Superfast ed è approdata dopo circa 14 ore di navigazione. Non so dire dove». La durata del viaggio, però, fa presumere che anche per Hussain il porto toccato fosse pugliese. Quello di Bari, servito dalla Superfast Ferries. Neppure a lui è stato chiesto nulla circa l’età, né gli è stato concesso un colloquio con il Consiglio italiano dei rifugiati. «Registriamo diversi casi del genere – testimonia Marianì Papanikolau, dell’associazione Kinisi di Patrasso, che ha fatto incontrare i due ragazzi con alcuni avvocati ellenici – purtroppo la situazione dei minorenni non accompagnati è davvero difficile. E non di rado accade di ascoltare storie di respingimenti dai porti italiani». La Polizia di frontiera di Ancona era stata chiamata in causa, lo scorso anno, per il caso di Alidad Rahimi, un dodicenne afghano che aveva dichiarato di essere stato respinto dal porto dorico. La storia aveva suscitato scalpore sui media nazionali. Ma era stata prontamente smentita dal dirigente della Polmare del capoluogo marchigiano: «A noi non risulta affatto – il commento di Mario Sica – né abbiamo alcun interesse a espellere dei minorenni non accompagnati».Ieri, nel suo bilancio settimanale, il ministero dell’Interno ha comunicato che 63 immigrati irregolari (adulti) sono stati riportati a Patrasso, in accordo con le autorità greche, dopo che erano sbarcati sul litorale ionico della Calabria. Altri 16 erano stati riaccompagnati venerdì.Nel caso dei ragazzi, a volte poco più che bambini, il loro avventuroso viaggio prima di giungere a Patrasso prevede l’attraversamento di Pakistan, Iran e Turchia, seguendo il cosiddetto passaggio a Sud-Est. Rahim, ad esempio, è partito ad aprile dal campo profughi di Karachi, in Pakistan. «La prima tappa è stata Shiraz – racconta –, nel sud dell’Iran. Poi Teheran. Da qui sono arrivato al confine con la Turchia, che ho oltrepassato di notte, nei pressi di Van. Sono arrivato a Istanbul nascosto in un container. Poi ho attraversato la frontiera turco-greca di Alexandroupoli, a bordo di una piccola barca. Qui mi hanno messo alcuni giorni in un centro, simile ad una prigione». Quindi un breve soggiorno ad Atene e, infine, a Patrasso. L’intero viaggio alla famiglia di Rahim è costato 6.500 dollari. E non è ancora concluso.
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