martedì 26 ottobre 2021
Secondo esportatore al mondo di carbone e considerato tra i Paesi più inquinanti, ha fissato il suo obiettivo di "zero" al 2050. Non è chiaro però come lo farà. E altri 15 paesi vogliono allungare
Il conto alla rovescia dell'irreversibilità ambientale dei giovani dei Friday for future a Milano

Il conto alla rovescia dell'irreversibilità ambientale dei giovani dei Friday for future a Milano - Fotogramma

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L'Australia, secondo esportatore al mondo di carbone e considerato tra i Paesi più inquinanti, ha fissato il suo obiettivo di "zero carbone" al 2050. L'annuncio del governo ha sollevato critiche verso Canberra sia per la scadenza, ritenuta molto ritardata, che per l'aver evitato di prefiggersi target a breve termine, missione invece perseguita dal cruciale summit Onu sul clima, Cop26, che si aprirà domenica a Glasgow.
Il governo australiano si è impegnato a raggiungere emissioni zero entro il 2050, senza però fissare obiettivi di ridurre le emissioni inquinanti entro il 2030, nè mettere in discussione l'uso dei combustibili fossili, fondamentali per la sua economia, export compreso. "Gli australiani vogliono un piano per il 2050 sulle emissioni nette neutre che sia corretto sui cambiamenti climatici e garantisca il loro futuro in un mondo che cambia. Vogliono anche un piano che sia equo e pratico", ha affermato il primo ministro Scott Morrison, in un articolo pubblicato sui giornali nazionali.
Il capo del governo ha spiegato che la neutralità carbonica sarà raggiunta attraverso investimenti in tecnologie a basso consumo energetico come l'idrogeno e il solare a basso costo, sostenendo nel contempo le industrie pesanti come quelle minerarie per rimanere competitivi. "Abbiamo un piano. Lo faremo nel modo australiano, attraverso la tecnologia e non (attraverso) le tasse", ha affermato il premier conservatore, che negli ultimi otto anni ha regolarmente resistito alle iniziative per ridurre le emissioni, approvando regolarmente nuovi progetti basati sul carbone e diffondendo scetticismo sui cambiamenti climatici. Sotto pressione interna e internazionale, Morrison ha annunciato così un cambiamento di approccio e ha riconosciuto che "il mondo sta cambiando".

Il premier australiano Scott Morrison

Il premier australiano Scott Morrison - Ansa


Non è chiaro, però, come l'Australia raggiungerà le emissioni zero entro il 2050, con il governo che si rifiuta di rilasciare i suoi modelli di sviluppo. "Non fermeremo la nostra produzione o esportazione di carbone o gas", ha spiegato Morrison in una conferenza stampa. "Non costerà posti di lavoro, nè all'agricoltura, nè all'estrazione mineraria o gas", ha garantito.
La riluttanza dell'Australia ad agire è stata criticata da stretti alleati come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, così come i vicini delle isole del Pacifico che sono altamente vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici. Il governo si è trovato sempre più in disaccordo con l'opinione pubblica colpita dai disastri ambientali subìti dal Paese di recente - siccità, incendi boschivi e inondazioni - e la cui gravità è stata collegata ai cambianti climatici. Un sondaggio del 2021 del think tank del Lowy Institute ha rilevato che il 78% degli australiani sostiene un obiettivo zero netto per il 2050, mentre il 63% sostiene un divieto nazionale di nuove miniere di carbone.

Intanto, anche gli esperti dell'Onu lanciano l'allarme combustibili fossili: sono infatti 15 i Paesi che puntano a incrementare la produzione di petrolio, gas e carbone. Nonostante tutto e tutti. Tra questi ci sarebbero Russia, Norvegia, Stati Uniti, Cina, Arabia Saudita, Canada e India che vorrebbero aumentare l'offerta di fonti energetiche tradizionali nel prossimo decennio senza considerare gli impegni presi con l'accordo di Parigi. Lo rivela un rapporto Onu.

Entro il 2030, spiega il rapporto, questi paesi puntano a produrre il 240% in più di carbone, il 57% in più di petrolio e il 71% di gas naturale rispetto a quanto sarebbe necessario per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali.

A livello globale, c'è mancanza di energia che ha causato livelli record per il prezzo del gas. La ripresa post Covid è messa a rischio dalle pressioni inflazionistiche dovute proprio dal rialzo dei prezzi dell'energia la cui domanda è inferiore all'offerta a causa della pandemia e dalla drastica diminuzione degli investimenti per raggiungere i target di decarbonizzazione.




L'allarme arriva dagli esperti dell'Onu: sono 15 i Paesi che puntano a incrementare la produzione di petrolio, gas e carbone. Nonostante tutto e tutti. Tra questi ci sarebbero Russia, Norvegia, Stati Uniti, Cina, Arabia Saudita, Canada e India che vorrebbero aumentare l'offerta di fonti energetiche tradizionali nel prossimo decennio senza considerare gli impegni presi con l'accordo di Parigi. Lo rivela un rapporto Onu.

I leader globali si riuniranno a fine mese a Glasgow per discutere le modalità per ridurre le emissioni a livello globale e contrastare il riscaldamento globale. Ma gli ambientalisti affermano che i governi dovranno anche realizzare i piani futuri per l'estrazione di combustibili fossili in modo che siano più strettamente allineati con le proposte di vendere più veicoli elettrici e installare più fonti di energia rinnovabile. Entro il 2030, spiega il rapporto, questi paesi puntano a produrre il 240% in più di carbone, il 57% in più di petrolio e il 71% di gas naturale rispetto a quanto sarebbe necessario per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius al di sopra dei livelli preindustriali.

A livello globale, c'è mancanza di energia che ha causato livelli record per il prezzo del gas. La ripresa post Covid è messa a rischio dalle pressioni inflazionistiche dovute proprio dal rialzo dei prezzi dell'energia la cui domanda è inferiore all'offerta a causa della pandemia e dalla drastica diminuzione degli investimenti per raggiungere i target di decarbonizzazione.



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