sabato 16 settembre 2023
Secondo Global Witness, 125 dei 177 omicidi totali sono avvenuti a Sud del Rio Bravo. La Colombia è la prima della lista con 60 vittime, seguita da Brasile e Messico
Il fumo sale dagli alberi incendiati in Amazzonia brasiliana

Il fumo sale dagli alberi incendiati in Amazzonia brasiliana - Ansa

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L’ultimo omicidio è di una settimana fa. Gloria Cañez Chávez è stata crivellata da oltre cinquanta proiettili insieme alla figlia, Sali Avella Cañez, nel municipio di Belleza, nel nord del Chihuahua. Là, fra le montagne della Sierra Tarahumara, vive il popolo Rarámuri che le due attiviste cercavano di aiutare a difendersi dalle mire dei trafficanti di legname, legati a doppio filo ai narcos. Non è difficile, dunque, comprendere il movente del duplice assassinio, avvenuto alla vigilia della diffusione dell’ultimo rapporto di Global Witness. Il macabro conteggio dei difensori dell’ambiente assassinato è relativo al 2022, dunque Gloria e Sali non rientrano nella lista degli attivisti messicani uccisi: 31, in pratica oltre due al mese. Tanti. Ed il Paese è “solo” al terzo posto nella classifica. In Colombia, la prima della lista, sono 60 le vittime tra gli ecologisti, seguita dal Brasile con 34. La gran parte dei 177 delitti, ben 125, in pratica nove su dieci, si sono consumati in America Latina che continua ad essere il Continente più letale per i difensori del territorio. E a soffrire di più il peso della violenza sono i popoli indigeni: nel 2022, in 64 hanno perso la vita, ovvero oltre un terzo del numero complessivo.

Protesta indigena a Brasilia

Protesta indigena a Brasilia - Reuters


L’Amazzonia rimane una zona ad alto rischio con 39 attacchi mortali ¬– undici dei morti erano indigeni - da parte dei cacciatori di risorse, nazionali e internazionali. Le materie prime della foresta vengono vendute nei mercati globali, come varie indagini hanno confermato. Non a caso, la relatrice speciale Onu per i difensori dei diritti umani, Mary Lawlor, ha esortato l’Ue a cambiare le disposizioni sulla responsabilità delle imprese affinché includa i rischi per gli attivisti ambientali.
A giugno, la scomparsa di Bruno Pereira e del giornalista britannico Dom Phillips aveva attirato l’attenzione sui legami tra crimine e pesca clandestina e estrazione dell’oro nella Valle del Javarí, dove si concentra il più alto numero di popoli nativi in isolamento volontario. Difficilmente il prodotto resta in loco. Tra le comunità amazzoniche particolarmente minacciate i Kayapó in Brasile, gli Uwottuja del Venezuela e i Kakataibo, residenti della valle peruviana dell’Ucayali
Un altro buco nero per gli ecologisti è l’Honduras: là sono stati assassinati 14 attivisti, la cifra più alta in base al numero degli abitanti. Global Witness ha iniziato a documentare le morti di chi cerca di proteggere l’ambiente dal 2012: in un decennio ne ha registrato 1.910, il 70 per cento di queste si è consumata a Sud del Rio Bravo.

Incendi in Amazzonia colombiana

Incendi in Amazzonia colombiana - Ansa


L’omicidio è la forma estrema di intimidazione. Ma la strategia messa in atto è variegata e comprende minacce costante, violenze sessuali soprattutto per le donne e una crescente criminalizzazione. In Guatemala, addirittura, ci sono comunità impegnate nella difesa della terra in cui nel 60 per cento delle famiglie c’è una persona con un ordine di cattura.
Cinque Paesi latinoamericani menzionati nello studio di Global Witness non sono ancora parte dell’accordo di Escazú, il primo trattato del Continente che impone agli Stati di proteggere gli attivisti ambientali. Honduras, Perù e Venezuela non l’hanno sottoscritto mentre il Brasile lo ha firmato ma non ancora ratificato. La Colombia, infine, lo ha fatto ma per diventare operativo deve passare un complesso processo di revisione della Corte Costituzionale

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