venerdì 13 novembre 2009
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Lo spionaggio è arcano, ambizione di supremazia e speranza di vantaggio competitivo: gli antichi Egizi avevano il dio Arpocrate, tutore del segreto; i greci l’oracolo di Delfi. Entrambi partecipavano a un sistema d’intelligence: ne erano la componente "celeste", mentre sulla terra operavano cavalieri, fanti-carristi e indovini. Alessandro il Grande si spinse fino alle pendici dell’Himalaya. Prima di ogni missione consultava l’Oracolo, ma aveva profonde conoscenze sui persiani, una guardia personale e un servizio segreto, capace di sventare innumerevoli congiure e sedizioni.«Ho trascorso tutta la mia vita a cercare d’immaginare che cosa nascondesse la collina», amava dire il duca di Wellington. Sembra che i contemporanei l’abbiano preso sul serio. Gli Stati Uniti spendono il 10% del bilancio della Difesa (75 miliardi di dollari) per finanziare le 16 agenzie d’intelligence nazionali. Hanno creato il sistema di sorveglianza globale più complesso e pervasivo della storia: il project 415, meglio noto come Echelon. Il grande fratello elettronico è divenuto pienamente operativo una ventina d’anni fa. Rappresenta l’apoteosi della crittoanalisi e della signal intelligence (Sigint) – l’intercettazione di trasmissioni via etere, cavo e satellite – cominciata con la Prima guerra mondiale e sdoganata dalla Seconda. Basti solo pensare alle migliaia di agenti anglo-franco-americani impegnati nelle operazioni Ultra e Magic. Vent’anni dopo è il Vietnam, epitome dell’infowar. In piena guerra fredda, gli Stati Uniti ingegnerizzano la gestione delle informazioni e l’insegnamento di Carl von Clausewitz: «La conoscenza deve diventare capacità», ed ecco spuntare i modelli quantitativi e computerizzati, gli archivi elettronici e gli elaboratori automatici per seguire gli sviluppi del conflitto. Tutto confluisce in una rete di comunicazione radio fattasi capillare e rafforzata dall’esordio del satellite. La National security agency (Nsa) spedisce in orbita i Vortex, per spiare le trasmissioni russe. Intelsat (1964) opta per le orbite geostazionarie e una rete di antenne fisse. È apparentemente un consorzio, asservito agli interessi nazionali degli Usa che, soli, ne controllano la società di gestione. I servizi che offre alle compagnie telefoniche vanno dalle e-mail ai fax, alla voce: decine di migliaia di comunicazioni simultanee, spesso non criptate. E quand’anche lo fossero, i computer quantici del futuro promettono di scardinarne i codici.Washington non è sola. Ha un cenacolo di alleanze anche nel campo informativo. Dal 1947, è legata a Londra dall’Uk-Usa strategy agreement, patto segreto per unire attrezzature e personale Sigint delle agenzie di sicurezza Nsa e Gchq. Intorno all’asse primario cominciano ad orbitare tre Paesi del Commonwealth: Australia, Canada e Nuova Zelanda, seguiti più tardi da Norvegia, Danimarca e Turchia. Ognuno intercetta in modo indipendente, utilizzando le stazioni territoriali e trasmettendo agli altri il contenuto filtrato. Finita la guerra fredda è il salto di qualità. Il confine fra intelligence militare e civile si fa più labile, in parte perché cambia la minaccia. Terrorismo e criminalità si muovono come holding multinazionali. Assurgono a nuovi sfidanti, legittimando apparati d’intelligence pletorici e opulenti, che tentano di seguirne i flussi monetari, ricostruire il movimento di materie prime, armi, droga e pietre preziose. La Nsa propone d’integrare i sistemi d’intercettazione, sfruttando l’enorme potenzialità dell’informatica, in pieno boom. Nessuno rifiuta e, da quel momento in poi, il network si perfeziona: ha satelliti, basi terrestri, cavi sottomarini, reti di microonde e supercomputer. Tutti possono finire nel calderone: rei, sospetti, integerrimi e concorrenti di mercato. Nessun ente sovrannazionale monitora i controllori, né tantomeno autorizza le intercettazioni. Alcuni asseriscono che Echelon rischierebbe di essere snaturato; senz’altro non farebbe più gli interessi di pochi.Fra gli ultimi, primeggiano gli Usa, unici a poter attingere all’intera banca dati. Gli altri devono accontentarsi del concesso. La stazione neozelandese di Waihopai capta ad esempio le comunicazioni russo-antartiche, la corrispondenza diplomatica nipponica e le attività nell’area del Pacifico meridionale.  Gigantesche antenne paraboliche puntellano anche la Cornovaglia e lo Yorkshire inglesi, le montagne della Virginia e il sud-ovest di Seattle, le campagne canadesi di Leitrim e altri siti militari. Confluiscono in una rete di computer, amministrata da due server primari: i supercalcolatori, che elaborano i messaggi pervenuti e li ritrasmettono "iperblindati" ai quartier generali delle varie Agenzie. Nerbo del sistema sono le "librerie", dizionari elettronici poliglotti consultabili come normali motori di ricerca. Parole chiave mirate permettono di filtrare quantità inaudite di messaggi digitali e analogici. Basta istruire il vocabolario e il gioco è fatto. Subito se il messaggio è in inglese, altrimenti il lavoro passa ai traduttori, anello debole di tutti i sistemi d’intelligence tecnica.Iraqi Freedom insegna che gli Stati Uniti non sono mai riusciti a gestire l’enormità delle intercettazioni, effettuate non solo dalla Nsa da Echelon. L’Ufficio di ricognizione nazionale (Nro) collabora alle operazioni militari con i propri satelliti: ne ha lanciati di specifici (Trumpet) per sorvegliare al-Qaeda e intercettare Ossama Benladen. Una fatica di Sisifo, soprattutto se i qaedisti riscoprono i dialetti indigeni o le onde corte (HF), più sicure e discrete. Non sempre va male. Se i servizi francesi (Dcri) hanno acciuffato il qaedista del Cern, lo devono in buona parte a Echelon. Da un anno sotto sorveglianza, il computer del Ricercatore ha tradito legami pericolosi coi fondamentalisti maghrebini di Aqim. Altrettanto può dirsi per il programma nucleare siriano, azzerato nel 2007 con l’operazione Orchard, connubio intricato fra apparati d’intelligence israelo-statunitensi (Mossad-Nsa), forze speciali dell’aviazione di Tsahal (Sayeret shaldag), satelliti della galassia Echelon, velivoli spia e caccia F-16. Quando l’ambasciata cinese ha riferito a Pechino dell’accaduto, il dispaccio è finito nelle maglie del grande fratello: si è così saputo che fra i caduti di Dar el-Zour vi erano tecnici nordcoreani.
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