giovedì 7 gennaio 2010
Slotervaat, la periferia «islamizzata» di Amsterdam dove non ci sono bar e le cassiere portano il velo: la separazione totale ha generato paura e xenofobia.
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Le nove di una sera nelle feste di Nata­le. Il centro di Amsterdam sotto la ne­ve è ricolmo di luci. Prendi il metrò e scendi alla stazione Lelylaan, alla periferia sud- ovest della città. Ecco Slotervaart, qua­si un’isola musulmana: la grande maggio­ranza dei residenti sono immigrati arabi (per lo più marocchini) e turchi. È un quartiere popolare che negli ultimi decenni ha visto l’esodo degli olandesi parallelamente all’in­sediamento massiccio degli stranieri. Non ci sono bar ma solo botteghe di kebab; nei supermercati molte cassiere portano il ve­lo. Gli stabili sono tutti uguali, dignitosi, con grandi finestre da cui scorgi stanze ampie. Meglio di molte nostre periferie, quanto a decenza e manutenzione: tuttavia, quando ti inoltri in queste strade è evidente che sei in un ghetto. Una città nella città, in cui è tanto raro incrociare un olandese che, se ne vedi uno, ti volti a guardarlo. Nella sera fredda pochi passanti nelle stra­de debolmente illuminate. Al metrò Lely­laan attorno alle scale mobili ci sono delle barriere di metallo: sono state messe dopo una serie di rapine ai danni dei viaggiatori, ad opera delle bande giovanili del quartie­re. L’area di Lelylaan è stata teatro di pesan­ti scontri fra la polizia e i giovani immigrati, in questi anni. Al momento la situazione sembra più calma, ma fra pochi mesi ci so­no le elezioni: e il partito di Gert Wilders, a giudizio di molti xenofobo, si delinea come secondo per consensi. La notte di Slotervaart si presenta buia e si­lenziosa al passante. Le sfavillanti luci di Na­tale del centro qui sono scomparse. Solo, qua e là, sui balconi, qualche cometa, un al­bero di Natale. «Li met­tono per fare contenti i bambini, non certo per altri significati», spiega Noureddine Amrani, giornalista e corri­spondente del maroc­chino Alwatan Alaan Magazine, che ci ac­compagna in un quar­tiere in cui altrimenti non si andrebbe volen­tieri, di notte, da soli. La piazza è uno slargo spoglio, due negozi con le insegne in ara­bo, la caserma della polizia e accanto la moschea – una delle venti moschee di Am­sterdam. Stanno per partire i lavori per co­struire qui la più grande moschea della città, finanziata con 3 milioni di euro dal­l’emiro del Qatar. L’unica cosa olandese che resta sono i nomi delle strade. Mondriaan-­strat, leggi su una targa all’inizio di una via deserta. Qui, in una casa a due piani ugua­le a tutte le altre, abitava l’assassino del re­gista Theo Van Gogh. Poco oltre un campo da pallone, una chiesa protestante. Una in­segna, « Sop » . È un centro sociale. Amrani bussa, ci aprono. In una stanza una dozzina di immigrati stu­diano l’olandese. ( Dopo la lunga stagione del ' multiculturalismo', nelle offerte di la­voro ora si comincia a chiedere un minimo di conoscenza della lingua nazionale). Il pre­sidente del centro, Mohamed Mellouch, ma­rocchino a Amsterdam da anni, pacata­mente racconta di com’è questo Paese, visto da Slotervaart. « Gli olandesi mi sembrano un popolo che ha paura di tutto: ha paura di noi, ma anche della destra xenofoba che sale nei consensi. Abbiamo imparato a fi­darci, più che dello Stato, della solidarietà delle Chiese protestanti e cattoliche, che ac­colgono i nostri figli e soccorrono come pos­sono i bisogni dei poveri. Gli olandesi, per noi a Slotervaart, sono solo i passeggeri del­le belle auto nuove che passano di qui il ve­nerdì sera, correndo verso l’autostrada per il week end » . ( È singolare come questo giu­dizio sulla ' paura' degli olandesi sia simile a quello dei cattolici più lucidi). Paura, è un’espressione usata anche dal pro­fessor Gianfranco Renda, vicedirettore dell’Istituto di cultura italiano a Amsterdam: « Gli olandesi sono fondamentalmente un popolo tollerante, e gli omicidi Van Gogh e Fortuyn li hanno sconvolti. Ma anche le ag­gressioni ad omosessuali, che si sono ripe­tute ad opera di giovani immigrati arabi, de­stano un forte allarme. Il timore è che que­sti stranieri non accettino la regola del gio- co fondamentale in Olanda, il rispetto della libertà altrui». E camminare per Slotervaart impressiona, perché non di­resti di essere in Olanda. Se­gregati gli immigrati, gli o­landesi qui sono a loro volta stranieri. Nel locale in cui mangiamo tutti i clienti so­no marocchini, a eccezione di due ragazze bionde che sembrano venu­te qui apposta per sfidare l’enclave delle donne velate. Ma le nuove generazioni, ti chiedi, i nati qui, si sentono olandesi o arabe? Herman Kroes, un olandese cattolico, talent scout calcisti­co che gira i campetti del Paese affollati di bambini marocchini – almeno il tifo per l’Aiax sembra un elemento unificante – fa spesso questa domanda ai ragazzi che ' col­tiva': «Mi rispondono: io, prima di tutto, so­no marocchino» . I segni di questa integrazione difficile si ve­dono nelle periferie, dove ciascuna etnia tende a formare la sua tribù. Ma in centro le bande di ragazzi vestono all’occidentale, e mangiano da McDonald’s. Malgrado il fan­tasma del fondamentalismo sia forte, se­condo le statistiche non più della metà dei musulmani sarebbe regolarmente osser­vante: la secolarizzazione lavora anche fra di loro. Talvolta vedi un ragazzo arabo accan­to a una adolescente bionda: i flirt con le o­landesi non sono rari. Ma, quando si tratta di sposarsi, quasi sempre ci si sposa fra con­nazionali. Addirittura si va a cercare una spo­sa nel Paese di origine; e all’aeroporto di Schiphol, agli arrivi, accade di vedere gio­vani immigrati nati o cresciuti in Olanda che attendono la promessa sposa, apposita­mente scelta in Marocco o in Turchia. Perfino dopo una vita a Am­sterdam o Rotterdam, l’ap­partenenza profonda resta straniera. « I nostri immigra­ti – dice Noureddine Amrani – vengono qui, lavorano, hanno figli, ma da morti spesso vogliono tornare a ca­sa. Molti stipulano un’assicurazione appo­sta per pagare il ritorno in patria della bara» . E tuttavia, nella vita quotidiana delle città vedi anche il tentativo di questa gente di in­serirsi nella vita olandese. Sono le migliaia di netturbini, camerieri, autisti di bus che fanno marciare ogni mattina Amsterdam e ancora di più Rotterdam, forse la città con più forte presenza islamica in Europa. Rasa al suolo dalle bombe durante la guerra, Rot­terdam si presenta og­gi, almeno in centro, tutta nuova, grattacie­li altissimi di vetro e ce­mento. Nei negozi, nei locali, tutti gli inser­vienti sono arabi; alcu­ne donne velate ma non moltissime, di chador nemmeno uno. Sul treno per Amster­dam due mamme ara­be cullano i loro bam­bini mentre i vagoni sfilano accanto alle moschee dei quartieri periferici. È Olanda, è Occidente, ma con i segni di una marcata metamorfosi. Negli intenti di una buona parte di quelli che arrivano, pacifica. Ma che fatica e che asprezza, nel contatto fra i due mondi. Nel cielo a Sud di Amsterdam un aereo de­colla da Schiphol e si allontana. Chissà se nella stiva riporta a casa, a riposare per sem­pre, uno dei tanti che erano venuti qua per mangiare e per vivere.
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