giovedì 22 aprile 2010
Dopo un ricorso presentato dall’Unione per le libertà civili, revocata la concessione in esclusiva a una società farmaceutica di informazione genetica utile per un test anti-cancro femminile. Ribaltata una giurisprudenza trentennale. Ma ora s’attendono le contromosse dell’azienda.
Il primo «derubato» del proprio Dna
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Il 29 marzo scorso il giudice Robert W. Sweet, della Corte Distrettuale di New York Sud, ha emesso una sentenza che annulla i brevetti ottenuti nel 1991 dall’azienda Myriad Genetics su due geni, BRCA1 e BRCA2, che sarebbero collegati a un aumento del rischio dei tumori mammari e ovarici. È una decisione che potrebbe avere effetti cospicui sull’industria biotecnologica e sulla ricerca medica basata sulla genetica. Grazie a questi brevetti, la Myriad Genetics si è assicurata da anni l’esclusiva dei test genici sulle donne, rifiutandone la concessione a chiunque altro. Il giudice Sweet ha accolto la tesi dell’Unione americana per le libertà civili, secondo cui il monopolio della Myriad danneggia le donne a rischio rendendo più oneroso e più complicato l’accesso agli esami (si parla di un costo di 4.000 dollari). Inoltre, i brevetti ostacolano la ricerca scientifica in questo importante settore. Benché la sentenza sia molto significativa e segni una svolta nella politica brevettuale degli Stati Uniti, la controversia sulla brevettabilità dei geni umani non è affatto risolta: si prevede infatti una contromossa legale da parte dell’azienda e non ci si può certo aspettare che nell’immediato futuro il costo dei test sui geni BRCA diminuisca. Si tratta comunque di un’indicazione importante: se i criteri di brevettabilità finora adottati si possono considerare adeguati per i prodotti medici tradizionali, compresi i farmaci, essi sono molto meno appropriati nell’era genomica e post-genomica. Come si è giunti ad estendere la tutela brevettuale dalle invenzioni meccaniche agli organismi viventi? Lo strumento concettuale di base è stato il modello meccanicistico della realtà, che autorizzava l’equivalenza tra materia inorganica e materia organica: gli organismi sono macchine e quindi, come le macchine, si possono brevettare. In tempi più recenti, con la messa in evidenza dell’informazione, la materia è stata ridotta al suo contenuto informazionale e ciò ha consentito di includere tra gli artefatti anche la lettura del codice genetico. In altre parole, come dietro la macchina c’è l’opera dell’ingegno umano costituita dal progetto, così dietro i materiali biologici o genetici c’è l’opera dell’uomo consistente nell’estrazione o nella modificazione dell’informazione rilevante sotto il profilo biologico o genetico.Questo punto di vista, che assimila materia organica e inorganica, fu adottato fin dal 1977 negli Usa, quando la Corte d’Appello per i brevetti stabilì la brevettabilità dei microorganismi, poiché un microorganismo isolato e biologicamente depurato non esiste in natura, quindi è un prodotto dall’attività umana. In seguito, i criteri di isolamento e depurazione sarebbero diventati fondamentali nella concessione dei brevetti sui materiali biologici, e furono adottati anche in Europa. Nel 1988, fu compiuto un altro passo fondamentale, la concessione alla Facoltà di Medicina di Harvard del brevetto per l’Oncomouse, o Oncotopo, un topo modificato geneticamente per risultare più soggetto al carcinoma mammario (utile per la sperimentazione). Insomma, negli Stati Uniti non si faceva alcuna distinzione tra gli organismi unicellulari e gli organismi complessi, come i mammiferi. In Canada e in Europa l’Oncotopo ha avuto vita più travagliata: in Europa alla fine è stato brevettato, invece la Corte Suprema canadese nel 2002 si è pronunciata contro la brevettabilità degli organismi complessi: la modificazione genetica che porta all’Oncotopo è un processo brevettabile, mentre il prodotto che ne risulta, cioè l’Oncotopo, non è brevettabile. Il Canada ha quindi negato la possibilità di far discendere la brevettabilità degli organismi complessi da quella dei dispositivi meccanici e dei composti chimici. Alla luce di quanto si è detto, è più facile capire le ragioni che hanno spinto il giudice Robert W. Sweet a invalidare i brevetti della Myriad. In primo luogo, non possono essere concessi brevetti sulle leggi di natura, su idee astratte e su fenomeni della natura, compresi i prodotti naturali. La Myriad sosteneva che i geni BRCA1 e BRCA2 erano diversi da quelli naturali perché erano stati isolati dal resto dell’organismo e depurati, e citava a sostegno della propria tesi alcuni brevetti concessi all’inizio del Novecento, in particolare uno relativo all’adrenalina depurata. Ma il giudice ha obbiettato, sulla base di altri casi in cui il brevetto era stato negato, che la sola depurazione di un prodotto naturale non può trasformarlo in oggetto brevettabile: per la concessione del brevetto è necessario che il prodotto depurato possieda «caratteristiche considerevolmente diverse» da quello naturale. I geni isolati dalla Myriad non possiedono questa proprietà, perché la particolarità specifica di un gene, che si trovi entro l’organismo o isolato, è quella di contenere l’informazione necessaria e sufficiente per la codifica di una proteina. Si tratta di una novità radicale: sin da quando, una trentina di anni fa, si è inaugurata la stagione dei brevetti su materiale genetico, è stata sostenuta la tesi che i geni fossero semplici sostanze chimiche e che la loro natura di portatori di informazione fosse irrilevante. E, una volta isolati, i geni sono chimicamente diversi, ciò che li candida alla brevettabilità. Ma ora almeno una Corte statunitense ha preso una posizione diversa.
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