giovedì 22 aprile 2010
Aveva un tumore e gli fu asportata la milza, da cui il medico e l’università della California trassero cellule brevettate. Tre processi  e un verdetto che non gli diede soddisfazione.
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La brevettabilità dei materiali biologici umani costituisce un importante capitolo del tema generale dei brevetti biologici. La tappa fondamentale in questo contesto è costituita dalla causa intentata nel 1988 da John Moore contro i medici e la società farmaceutica che avevano brevettato una linea cellulare elaborata a partire da sostanze biologiche prelevate dalla sua milza. Nel 1976 a Moore, affetto da una rara forma di cancro, fu asportata la milza nel centro medico dell’Università della California a Los Angeles. L’intervento riuscì e nei sette anni successivi Moore tornò ben dodici volte a Los Angeles da Seattle, dove abitava, per eseguire i controlli. Il medico curante, dottor Golde, vista la riluttanza di Moore ad affrontare i lunghi e costosi viaggi, gli offrì il rimborso totale delle spese, cosa che insospettì non poco il paziente, che si chiedeva perché non potesse eseguire i controlli a Seattle. Le sue perplessità aumentarono quando nel corso dell’ultimo controllo gli fu chiesto di firmare un modulo di consenso informato (ne aveva firmato già uno prima dell’intervento).Il secondo modulo conteneva la seguente clausola: «Volontariamente concedo (o non concedo) all’Università della California tutti i diritti che io o i miei eredi potremmo vantare su qualsiasi tipo di cellule o qualsiasi altra sostanza che potrebbe essere prodotta dal sangue o dal midollo osseo ricavato dal mio corpo». Moore, irritato, barrò la casella del «no» e, nonostante le rimostranze dei medici, tornò a casa e prese contatto con l’avvocato Stanford M. Gage, il quale scoprì che Golde aveva appena ottenuto, il 20 marzo 1984, il brevetto per un particolare tipo di cellule, ottenute dalla milza di Moore. Golde cedette poi parte dei diritti alla Genetics Inc. e parte alla Sandoz, accumulando un capitale di parecchi milioni di dollari. Anche l’Università della California continuava a incamerare utili dallo sfruttamento del brevetto.Moore si sentì defraudato e citò in giudizio Golde e l’Università. Nel corso di sei anni il caso fu esaminato da tre corti di giustizia. Con una prima sentenza, la Corte d’Appello della California accordò a Moore la partecipazione agli utili relativi al brevetto, ma due anni dopo, nel 1991, la Corte Suprema degli Stati Uniti, pur stigmatizzando il comportamento del medico, riconobbe al ricorrente il diritto al consenso informato per lo sfruttamento dei suoi materiali biologici, ma non la partecipazione agli utili. Da una parte, la Corte sentenziò che Moore non aveva la proprietà dei materiali, dall’altra stabilì che nemmeno i titolari del brevetto avevano la proprietà dei tessuti, ma solo i diritti relativi alla loro opera di ingegno. Tuttavia, pur non appartenendo a nessuno, i materiali furono dichiarati acquisibili liberamente da parte di chi avesse interesse a sfruttarli, cioè di chi sapesse, presumibilmente, utilizzare e trasformare l’informazione contenuta nelle cellule e sapesse poi introdurla nel mercato.
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