mercoledì 23 settembre 2009
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Ancora un mese, poi «in ottobre rifinanzieremo le missioni militari», lo ha annunciato ieri il premier. Confermando così che per ora l’impegno va avanti, anche se sembra profilarsi una riduzione del numero dei nostri soldati impegnati all’estero e sullo sfondo comincia a balenare la prospettiva di un disimpegno totale dall’Afghanistan. I tempi saranno comunque lunghi. La prima tessera del puzzle dal quale emerge questa soluzione ieri l’ha offerta, da New York, il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Siamo in Afghanistan e ci resteremo. Ma non per sempre», ha sottolineato. E non è certo un mistero che, insieme al braccio di ferro sul nucleare iraniano, è proprio la situazione a Kabul a preoccupare soprattutto le diplomazie e i governi di mezzo mondo.Esiste ormai la necessità di stilare con il nuovo governo afgano una road map, secondo Frattini, che indichi i modi e soprattutto i tempi per raggiungere alcuni obiettivi molto concreti (come, ad esempio, quanto possa occorrere per addestrare e formare la Polizia locale afghana). Serve insomma e in pratica che finalmente si materializzi una transition strategy capace di precedere un’ancora lontana e vaga exit strategy definitiva.A queste ipotesi, nel nostro Paese ha fatto subito in qualche modo da sponda il ministro della Difesa con le sue dichiarazioni: «A mente fredda e senza la carica emotiva – ha spiegato Ignazio La Russa – non c’è niente di male che ci si interroghi se il sacrificio dei nostri soldati ha una giustificazione politica e morale». E, «se la risposta è sì, come è stato finora, non c’è motivo di cambiare». Dunque «è giusto riproporsi la domanda periodicamente, ma sono convinto che la risposta sarà ancora sì».L’interpretazione delle parole di La Russa è implicitamente nella immediata, soddisfatta, risposta di un suo collega di governo: «Ringrazio il ministro La Russa, ed il ministro Frattini – ha fatto sapere il ministro per la Semplificazione normativa, Roberto Calderoli – per l’apertura nei confronti della richiesta che arriva dalla Lega Nord di ridurre il numero delle missioni internazionali dei nostri militari e dei relativi contingenti. Una richiesta saggia e condivisa dal Paese».A tirare le fila della situazione, almeno dialetticamente, ha pensato poi il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, dicendo chiaro e tondo che «sono lieto della sintonia tra i ministri La Russa, Calderoli e Frattini», sintonia che «dimostra che il problema della riduzione del numero di militari da alcuni teatri internazionali non esisteva». E «d’altronde – è andato avanti Crosetto – tale ipotesi era già stata prospettata dal ministero della Difesa nei mesi scorsi alle Camere durante la discussione per il rifinanziamento delle missioni». Dunque la "consonanza" pare cosa fatta.Anche perché percorrere una strada di questo genere non dispiacerebbe affatto neanche alle opposizioni. Non a caso Rosa Calipari, capogruppo Pd in commissione Difesa a Montecitorio, chiede infatti che il Parlamento discuta sul futuro della missione italiana in Afghanistan e di un cambiamento di strategia complessivo: «Il Pd da tempo – ha detto – chiede una ampia riflessione in parlamento per ridiscutere la strategia politico-diplomatica di intervento a sostegno della popolazione civile».E se i toni dell’Italia dei valori sono più aspri, la sostanza invece rimane la stessa: con una mozione al governo ha chiesto l’immediato confronto sulla missione in Afghanistan. «È ora di uscir fuori da ogni ipocrisia – ha detto il leader, Antonio Di Pietro – e di affrontare il tema dell’Afghanistan per quello che è». Il suo partito vuole che la missione si interrompa al più presto, ma è altrettanto deciso a non far mancare mai il suo appoggio ai soldati italiani «finché saranno lì».
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