lunedì 11 luglio 2011
In Gran Bretagna crescono i matrimoni combinati e i delitti d'onore. Le scuole obbligate a informare sui diritti, ma ancora non basta.
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«Il matrimonio forzato rappresenta una violazione dei diritti umani. Il matrimonio deve essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi». È quanto si legge all’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Eppure in Gran Bretagna, Paese riconosciuto tra i più culturalmente moderni al mondo, il matrimonio forzato è una realtà che coinvolge migliaia di donne, per la maggior parte minorenni. Sono donne nate nel Regno Unito, ma hanno origini sudasiatiche e più della metà sono pakistane. Frequentano le scuole britanniche, ma a casa seguono un codice di vita dettato dalle loro tradizioni. Sono perlopiù musulmane ma anche sikh, e non si presentano come un fenomeno marginale, perché le etnie a cui appartengono costituiscono una considerevole percentuale della popolazione britannica. I pakistani che vivono nel Regno Unito, per esempio, sono più di un milione.Secondo un recente rapporto dell’Ocse, le cause principali dei matrimoni forzati sarebbero le tradizioni, la povertà e l’ignoranza della legge. La legge in Gran Bretagna ne bandisce la pratica e condanna fino a due anni di reclusione chi lo organizza o agevola, ma secondo molte vittime l’informazione su come tutelarsi non è così facilmente accessibile e spesso, per paura, molte donne preferiscono non chiedere aiuto. Temono violenze e ricatti da parte della famiglia, in molti casi temono per la propria vita. Non stupisce infatti che spesso i casi di matrimoni forzati siano legati ai delitti d’onore. Nel 2009 sono stati denunciati alla Fmu (Force Marriage Unit), un’unità speciale del Ministero dell’interno, 1.682 casi di matrimoni forzati, l’86 per cento riguardanti donne, il 14 per cento uomini. Un anno dopo, i casi sono saliti a 1.735, di cui più della metà coinvolgevano donne pakistane e un terzo erano minorenni. Ma «la maggior parte dei matrimoni forzati in Gran Bretagna – spiega Jasvinder Sanghera, dell’ente di carità Karma Nirvana – non viene a conoscenza della polizia. Non è infatti irrealistico parlare di almeno diecimila casi l’anno». Anche per la ricercatrice Nazia Khanum i numeri superano di gran lunga quelli ufficiali: «Sfortunatamente, è impossibile quantificare i casi. In genere le vittime non si rivolgono alla polizia, perché hanno paura di penalizzare i propri genitori. Ma sono molto infelici. Spesso registriamo fenomeni di automutilazione, e non c’è da sorprendersi del fatto che molti suicidi siano collegati a queste circostanze».Qualche settimana fa, una vittima di 15 anni ha messo in discussione l’impegno del governo a combattere il problema affermando alla Bbc che «la scuola non fa abbastanza per aiutare le persone come me». La ragazza, portata dal padre in Pakistan dove l’attendeva un matrimonio con un uomo di 35 anni, è riuscita a scappare due giorni prima della cerimonia. «Mio padre aveva stipulato un accordo con il mio futuro marito. Mi avrebbe consegnata in matrimonio e accettato la somma di diecimila sterline (circa 12 mila euro). L’uomo, sposandomi, avrebbe ottenuto la cittadinanza britannica. Mio padre mi ha praticamente venduta».La vittima, che poi è stata riconsegnata dalle autorità alla madre in Gran Bretagna, frequenta una scuola in prevalenza frequentata da studenti asiatici, ma sostiene che nessuno l’ha mai informata dei suoi diritti e delle possibilità per persone come lei. «Non ho ricevuto alcun appoggio dalla scuola, mi sono sempre sentita sola». Ogni scuola secondaria in Inghilterra e Galles ha l’obbligo di informare i suoi studenti della realtà del matrimonio forzato e di riportare alle autorità casi sospetti, ma esistono dubbi che questo stia effettivamente accadendo. È di questa opinione anche Jasvinder Sanghera, secondo la quale il Ministero della pubblica istruzione dovrebbe inserire il matrimonio forzato nei programmi di studio, «perché i ragazzi devono sapere che possono essere aiutati; e come e dove chiedere aiuto. Abbiamo cercato di introdurre poster nelle scuole, ma ci è stato impedito».Jeremy Brown, direttore della Forced Marriage Unit, è invece convinto che il governo stia facendo "il possibile": «Non conosco nessun altro Paese al mondo – ha detto in risposta alla quindicenne – che faccia più della Gran Bretagna per impedire il matrimonio forzato». Se la pena massima per una persona colpevole di aver organizzato un matrimonio forzato è di due anni di reclusione, nessuno ancora in Gran Bretagna è stato incriminato con questa accusa. «È vero che si può sempre fare di più – ha concluso Browne – ma non è scritto da nessuna parte che ci si debba occupare di questo problema. Ce ne occupiamo perché crediamo che sia giusto occuparcene».In Gran Bretagna il tragico destino del matrimonio forzato colpisce soprattutto la comunità musulmana pakistana, ma anche sikh e bangladeshi. Il problema, così come quello dei delitti d’onore che riguarda le stesse comunità, è saltato particolarmente alle cronache britanniche negli ultimi anni dopo alcuni casi di donne rapite, e anche uccise, dai membri della famiglia. Nell’agosto del 2008 il caso di Humayra Abedin, un medico di 33 anni convinta dal padre a visitare la madre in Bangladesh mentre questo aveva organizzato un matrimonio, ha scatenato il dibattito che poi ha portato all’introduzione del Forced Marriage Act. Al suo arrivo a Dhaka, la donna era stata sequestrata dai membri della famiglia e chiusa in una stanza per quattro mesi. In un momento di distrazione dei suoi sequestratori, Abedin era riuscita a mandare una mail a un’amica nel Regno Unito, e lei aveva allertato le autorità britanniche. Abedin non era minorenne e nemmeno analfabeta quando era stata rapita dal padre. Aveva una laurea, un dottorato e svolgeva la professione di medico in Gran Bretagna da dieci anni.
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