giovedì 26 ottobre 2017
L'accordo resta lontano: la scadenza di marzo 2019 spaventa l'economia e c'è già qualcuno che pensa a una via d'uscita
Ecco come Londra potrebbe uscire dalla Brexit
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Niente Brexit dopo tutto. "It may never happen”. Ovvero la Brexit potrebbe essere disfatta dopotutto. L’ha detto Vince Cable, il leader dei Liberaldemocratici, il piccolissimo e filoeuropeo partito britannico. Dopo mesi di negoziati, ansie dei cittadini, analisi di esperti e giornalisti, la ventottesima stella, quella britannica, potrebbe tornare dentro la bandiera blu dell’Unione Europea.

Un nuovo referendum, una volta che è stato raggiunto un accordo con l’Unione Europea, dopo il marzo del 2019, potrebbe bocciare l’uscita dalla Ue. A prometterlo è stato Cable e l’idea potrebbe piacere, nei prossimi mesi, anche al partito laburista, che si è già impegnato su una Brexit soft, ovvero vuole mantenere l’accesso al libero mercato a differenza di metà del partito conservatore. Laburisti e liberaldemocratici potrebbero trovare i voti in Parlamento per chiedere un nuovo referendum nel quale la maggioranza degli elettori potrebbe votare sì all’Europa. Molti cittadini britannici non avevano neppure capito per che cosa stavano votando, il 23 giugno 2016, impauriti dalla prospettiva di un impoverimento economico. Una volta che la Brexit diventerà realtà, potrebbero cambiare idea e voler fare marcia indietro.

Oppure – questa è la seconda possibilità di marcia indietro sulla Brexit - il Parlamento britannico, al quale la premier Theresa May ha promesso l’ultima parola sull’accordo che sta cercando di raggiungere con Bruxelles, potrebbe dire di no alla fuga della Gran Bretagna. I giochi non sono affatto fatti. Non dimentichiamoci che i due terzi dei parlamentari erano contrari alla Brexit e anche la fetta dei cittadini che l’ha voluta è una maggioranza risicata, appena poco più del 52% del popolo britannico.


Davis si rimangia le sue parole


A confermare che sarà Westminster ad avere l’ultima parola è stata proprio la premier che, in queste ore, è intervenuta per smentire il suo ministro David Davis che aveva detto che il Parlamento potrebbe non essere mai chiamato a votare. Incalzato dalla sua leader il ministro ha fatto marcia indietro. “Una volta che l’accordo sulla Brexit sarà raggiunto rispetteremo l’impegno di lunga data di far votare entrambe le Camere”, ha detto Davis attraverso un portavoce.


L’accordo è ancora in alto mare


Per il momento il governo May sembra in grande difficoltà tanto che la premier, proprio nei giorni scorsi, ha lanciato un appello all’Unione Europea perché la aiuti a trovare un accordo che possa mantenerla a Downing Street. May è stretta tra due fuochi. Da una parte i Tories più eurofobici disposti a sbattere la porta in faccia alla Ue e andarsene senza un accordo commerciale. Dall’altra le più importanti aziende britanniche che continuano a lanciare l’allarme sul fatto che l’economia britannica non può sopravvivere senza l’Europa. Il ministro per la Brexit David Davis ha promesso un accordo entro l’aprile 2018. Come questo possa essere raggiunto non è affatto chiaro.

Parte a novembre la legge che stacca il Regno dall’Unione

Dopo una pausa prolungata, per le divisioni interne al partito conservatore, la Great Repeal Bill, la legge quadro destinata a sancire la fine del potere legislativo europeo sul Regno Unito dopo la Brexit, riprende il suo iter alla Camera dei Comuni e verrà discussa il 14 novembre prossimo. Sono stati presentati quasi 400 emendamenti che possono rallentarne ancora l'iter. Ed è possibile che l'opposizione laburista faccia fronte comune contro il governo conservatore, insieme ai ribelli Tory, fermando, insieme, sia la Brexit che il governo May.

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