mercoledì 16 dicembre 2015
Con una crescita media di crescita nel decennio di 10,8% è diventata la quarta potenza economica continentale. Ma la siccità minaccia un decimo della popolazione. (Federica Zoja)
COMMENTA E CONDIVIDI
L’Etiopia si trova ad affrontare «la più grave siccità degli ultimi 30 anni», ha dichiarato Hailé Mariam Desalegn, primo ministro della nazione sub-sahariana, lanciando un appello alle Nazioni Unite. Il drammatico messaggio fotografa una realtà inequivocabile: circa 10 milioni di etiopi sono in ginocchio per un fenomeno di certo non nuovo nel Paese (le carestie del 2011, del 2008 e, più indietro nel tempo, del 1984-1985 hanno fatto centinaia di migliaia di vittime), ma inedito in aree normalmente fertili. La mancanza totale di precipitazioni piovose dall’inizio del 2015 ha inciso con la scure sui raccolti dell’anno e sulla redditività dell’allevamento di bestiame; e il 2016 non sarà migliore. Le autorità hanno disposto stanziamenti eccezionali, destinati alle infrastrutture e riconvertiti, ma senza un sostegno esterno – non armi né soldati, ma cibo, medicine e personale preparato – gestire un’emergenza simile sarà arduo.
Quanto sta accadendo impone un’attenta riflessione. A chi pensa che questa sia "la solita storia africana di povertà e mal governo" va detto che nel grande continente c’è molto di nuovo e le categorie di valutazione occidentali devono mettersi al passo con i tempi. L’Etiopia, in tal senso, è un caso-simbolo. Il popoloso Paese del Corno d’Africa, in marcia verso i 100 milioni di abitanti, è "in via di sviluppo" e punta a diventare una nazione "a medio reddito" nell’arco dei prossimi dieci anni. Addis Abeba è entrata nel mirino degli investitori stranieri – anche italiani – grazie a percentuali di crescita economica da capogiro: nell’anno fiscale compreso fra il luglio 2013 e il giugno 2014, il Pil ha fatto registrare un incremento del +10,6%, nell’anno successivo del +10,4%. Risultati ancora più significativi, se confrontati con il +4,8% del Kenya e il +7,9% del Ruanda, già noti ai mercati e in leggero declino. Una media di crescita, dal 2004 per un decennio, pari al +10,8% (dati Banca Mondiale) ha fatto dell’Etiopia la quarta potenza economica africana dopo Nigeria, Sud Africa e Angola. Gli analisti individuano nel Primo piano di sviluppo quinquennale avviato nel 2010 da Meles Zenawi (deceduto nel 2012, dopo vent’anni di leadership politica, e sostituito dal vice Desalegn, riconfermato alle urne lo scorso ottobre) una potente leva di sviluppo: in particolare, i dicasteri economici hanno lavorato insieme per fare dell’Etiopia un hub di riferimento per tutta l’Africa Orientale nel settore manifatturiero. In prima linea la trasformazione dei prodotti agricoli (barbabietola da zucchero, caffè), le lavorazioni tessili e il pellame, l’industria dei componenti meccanici. Anche i colossi del cemento guardano con interesse alle potenzialità etiopi: la nigeriana Dangote, secondo gruppo al mondo nel settore, ha appena aperto nuovi stabilimenti nel Paese con expertise cinese. Ora, il Secondo piano per lo sviluppo deve rafforzare i risultati raggiunti: il Fronte rivoluzionario democratico del popolo etiope (Epdrf), coalizione politica che controlla per intero la Camera bassa del Parlamento, si prefigge una crescita economica fissa oltre il 10%, condizione essenziale affinché la popolazione cominci a percepire un cambiamento reale. In termini pratici, vuole dire: acqua, energia elettrica, cibo, istruzione, sanità a pioggia per milioni di persone che hanno sete di tutto.
La qualità che più di tutte conquista i capitali forestieri è la stabilità, seppure fragile e bisognosa di cure, in una Repubblica federale passata attraverso colonizzazione, indipendenza, conflitto civile. E con alcuni vicini di casa "scomodi" (Sudan e Sud Sudan, Somalia, Eritrea sono i più traballanti). L’Etiopia, in sé, è un ginepraio di etnie (80 gruppi etnolinguistici, con Tigrini, Amara e Oromo dominanti in termini numerici, e pure nella coalizione di governo), su una trama confessionale in maggioranza cristiana (ortodossa in primis) e musulmana per un terzo (sunnita). A oggi le maggiori cariche politiche sono frutto di equilibrismi studiati: Desalegn stesso è cristiano protestante, proveniente dal popoloso e bistrattato Sud. Il gruppo etnico più inquieto in questo frangente pare quello Oroma, in fermento per l’espansione territoriale della capitale verso i propri territori. Addis Abeba, 4 milioni di cittadini, è anche capitale regionale dell’Oromia, in cui vivono quasi 50 milioni di etiopi. Gli Afaan Oromi, in particolare, denunciano emarginazione – economica, sociale e politica – mancanza di servizi, ingiustizia. Le proteste degli studenti contro il land grabbing (letteralmente, accaparramento della terra) sono sfociate nel sangue, con sette vittime in due settimane, fra novembre e dicembre.
Lo strapotere della piattaforma Epdrf è contestato anche da blogger e giornalisti indipendenti, che riscontrano una continuità, per violazione dei diritti umani, con il corso politico di Zenawi. Desalegn ha recentemente promesso maggiore democrazia, federale e regionale, e strategie anti-corruzione, ma è soprattutto la riduzione del tasso di povertà a restare in cima all’agenda. Il vento soffia nelle vele economiche etiopi e si teme possa cessare da un momento all’altro. Così i grandi della terra sembrano essersi accorti dell’esistenza dell’Etiopia, come testimonia il discorso sulla "Rinascita del continente africano" pronunciato dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama il 29 luglio scorso proprio ad Addis Abeba, presso il quartier generale dell’Unione africana. E ancor prima, lo "sbarco" della Gates Foundation in Etiopia è significativo: i coniugi Bill e Melinda trasudano denaro, è vero, ma non lo buttano via senza un perché. Già nel 2013, per citare un altro arrivo, consulenti della SouthWest Energy (Regno Unito) erano giunti in Etiopia per stimare le riserve di idrocarburi: secondo studi preliminari, il suolo etiope conterrebbe fra 1,6 e 2,9 miliardi di barili di petrolio. Anche delegazioni europee di alto livello si recano con frequenza nella zona sub-Sahariana: una missione italiana ha da poco portato a casa, fra gli altri, memorandum d’intesa sulla cooperazione nel tessile.
Le ambizioni di Addis Abeba in economia, per la verità, stanno creando pure frizioni regionali. Non cala la tensione con i cugini del bacino del Nilo: è cosa nota che la Grande diga del Rinascimento etiope, in piena costruzione, danneggerà Egitto e Sudan sia in dal punto di vista dell’approvvigionamento idrico sia di quello energetico. Lo scorso 11 dicembre, dopo svariati rinvii, delegazioni dei tre Paesi (quelli che dall’accordo del 1959 detengono maggiori diritti) si sono incontrate per l’ennesimo tentativo di addivenire a una gestione congiunta dell’oro blu. Intanto l’Etiopia punta anche sulle rinnovabili, nella consapevolezza che l’impatto di rinascimento economico sul territorio non è indolore. Ed è a questo punto che il caso etiope acquista una pregnanza di senso ancora maggiore. Terra di sviluppo e faticosa coesistenza, fustigata dalla natura con sempre maggiore frequenza, l’Etiopia rappresenta la sfida che l’umanità intera ha di fronte a sé nell’immediato futuro: la conquista di un benessere pieno, trasversale e diffuso, in cui l’equilibrio ambientale sia uno degli ingredienti principali. Pena un cammino a ritroso verso miseria e disperazione.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: