giovedì 3 marzo 2022
La viceministra ad Addis Abeba: «Abbiamo sottolineato al governo che incoraggiamo il dialogo. Va creato un corridoio per gli aiuti in Tigrai e nelle regioni Afar e Amhara. E serve verità sui crimini»
La viceministra Marina Sereni

La viceministra Marina Sereni - Ansa

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L’Italia vuole sostenere i segnali di pace giunti dall’Etiopia e rilanciare i progetti di cooperazione in un Paese ulteriormente impoverito da guerra e siccità. Marina Sereni, viceministro degli Esteri, traccia un bilancio dei tre giorni ad Addis Abeba nella prima visita ufficiale di un esponente governativo italiano dopo lo scoppio del conflitto in Tigrai 16 mesi fa.

Quali segnali nuovi ha lanciato il governo del premier Abiy?

Nelle ultime settimane ne abbiamo raccolti alcuni parziali, ma importanti e positivi. Anzitutto il governo federale ha deciso di fermarsi e di non avanzare in Tigrai; poi ha liberato alcuni prigionieri politici del fronte popolare di liberazione tigrino (Tplf) e del fronte di liberazione oromo (Olf), quindi ha concluso lo stato di emergenza e costituito la commissione nazionale per il dialogo e la riconciliazione nel quale, però, non c’è ancora il Tplf. Abbiamo detto alle autorità etiopi che vogliamo incoraggiare il dialogo nazionale inclusivo, che non è scontato perché ci sono ancora scontri e non tutti gli attori stanno partecipando. Ora vanno aumentate le possibilità di accesso degli aiuti umanitari alle aree colpite dalla guerra.

Si stanno sbloccando gli aiuti dopo circa nove mesi di stop e milioni di persone alla fame?

Sono ripresi e aumentati i voli umanitari dell’Onu e della Croce rossa internazionale per Macallè, ma non è ancora sufficiente a coprire il grande fabbisogno perché da qui non è possibile raggiungere tutte le aree colpite in Tigrai e nelle regioni Afar e Amhara. Stiamo spingendo le parti a creare un corridoio di terra.

Nelle strade di Addis Abeba, il regime festeggiava la vittoria contro gli italiani  ad Adua  nel 1896

Nelle strade di Addis Abeba, il regime festeggiava la vittoria contro gli italiani ad Adua nel 1896 - Reuters

Ieri l’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha nominato la gambiana Fatou Bensouda, ex membro della Corte penale internazionale, presidente della commissione che dovrà indagare sui crimini di guerra. Avete affrontato il tema con le autorità etiopi?

Si. Avevamo salutato positivamente il rapporto congiunto della commissione etiope sui diritti umani con l’Alto commissariato Onu. Abbiamo detto che bisogna continuare su quella strada, i responsabili di abusi e atrocità vanno perseguiti. Tutte le parti hanno commesso violenze e il governo centrale ha deciso di costituire una task force ministeriale sul tema dei diritti umani mentre la commissione etiope sta preparando un rapporto sui crimini commessi nelle regioni Amhara e Afar. Il nostro Paese vuole la verità e l’individuazione dei colpevoli perché la stabilità e la pace dell’Etiopia sono importanti.

A che punto sono i progetti della cooperazione italiana?

Ne abbiamo in corso più di 60 in agricoltura, educazione e sanità. Ho incontrato diverse organizzazioni della società civile italiana che non sono mai andate via. Abbiamo sbloccato alcuni progetti per lo sviluppo e l’occupazione delle fasce deboli finanziati dalla cooperazione. Abbiamo visitato i salesiani, che abbiamo aiutato quando sono stati arrestati lo scorso novembre e i cui progetti sono giù autosufficienti. Ora vogliamo sostenere anche le popolazioni dell’Oromia e della regione dei Somali colpite dalla siccità peggiore degli ultimi 40 anni.

Lei ha visitato la scuola italiana di Addis Abeba. Ma riaprirà quella all’Asmara?

L’esperienza di qualità di Addis Abeba ci conferma che la scuola è un pezzo fondamentale della presenza italiana nel Corno. Siamo pronti in ogni momento a riprendere il tema della formazione con le autorità eritree.

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