venerdì 11 giugno 2021
Nuovo giro di vite del regime di Asmara contro la Chiesa cattolica. Dopo le strutture sanitarie e le scuole superiori chiuse o requisite 20 tra scuole materne ed elementari. Dura protesta dei presuli.
Allievi nel cortile della scuola alberghiera dei francescani a Massaua in Eritrea

Allievi nel cortile della scuola alberghiera dei francescani a Massaua in Eritrea - .

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Dura protesta dei vescovi cattolici eritrei contro la chiusura forzata o il sequestro di altre 20 scuole della Chiesa voluto dal regime di Isaias Afewerki. Una lettera datata 26 maggio e consegnata al ministro dell’Istruzione asmarino esprime la ferma opposizione dei quattro presuli alla seconda, imminente ondata di «nazionalizzazioni» con la prossima requisizione di 20 istituti, mentre 9 tra materne e primarie diocesane e di congregazioni religiose – a volte interne alle strutture ecclesiali o alle case religiose – sono state già sequestrate o chiuse.

«Siamo profondamente amareggiati e intimamente feriti – si legge nel testo – dalle misure che il governo sta prendendo o ha già preso con la forza, sottraendoci le istituzioni educative e sanitarie che legittimamente ci appartengono, e limitando il nostro servizio al Paese. Tali misure noi formalmente denunciamo e fermamente respingiamo». Si tratta dell’ultimo tentativo in ordine cronologico di mettere a tacere la scomoda chiesa cattolica, da molti considerata, con le lettere pastorali e le omelie di sacerdoti e vescovi, l’unica voce libera e autorevole rimasta in Eritrea, oppressa da un regime considerato tra i più repressivi al mondo dagli organismi per le libertà civili, e trasformata da un ventennio in uno stato caserma con un servizio di leva a vita che inizia all’ultimo anno delle superiori che si terminano nel campo di addestramento militare di Sawa. Il quale è in gran spolvero nonostante il Covid per mandare forze fresche a combattere nel Tigrai a fianco dell’esercito federale etiope.

La somma dei provvedimenti repressivi in 20 anni ha provocato l’esodo da quello che è diventato uno dei Paesi più poveri del globo di almeno un milione di eritrei su una popolazione di cinque milioni. Il regime ha impresso un giro di vite contro l’istruzione non statale da tre anni, prima nazionalizzando le scuole superiori cattoliche e poi l’anno scorso, agli inizi della pandemia che ha portato alla chiusura nazionale di tutte le scuole per un anno, ponendo unilateralmente i sigilli alla scuola italiana di Asmara pagata da Roma.

Sempre nel 2018 il governo requisì e chiuse all’improvviso le strutture sanitarie ecclesiali, perlopiù finanziate dalla carità di tutto il mondo, privando la popolazione delle poverissime aree rurali persino dell’assistenza ambulatoriale gratuita. Il pretesto è l’applicazione di una legge del 1995 che assegna allo Stato il monopolio in campo educativo e sanitario. Sul punto i vescovi, ribadendo il diritto di libera scelta educativa delle famiglie e denunciando il ricorso del regime «come principio e come metodo, alla forza, anziché al dialogo e all’intesa» nella lettera di maggio non indietreggiano difendendo anzi la proprietà legittima della Chiesa di scuole e istituzioni sanitarie dalle menzogne messe in giro da esponenti governativi.

«Si tratta di un’aperta contraffazione della verità, congegnata per confondere le idee. Ed è giusto che noi, vescovi cattolici dell’Eritrea, ne denunciamo tempestivamente l’innegabile falsità. Sia detto senza esitazione e senza remore di sorta ancora una volta ad amici e non: le scuole e le cliniche confiscate o chiuse, o in procinto di esserlo, sono di legittima proprietà della Chiesa cattolica, costruite, istituite e organizzate coi propri mezzi nel supremo interesse del servizio al nostro popolo». Con un urlo nel silenzio, i presuli concludono ribadendo i propri principi di dialogo, pace e reciproco rispetto.

Nella sua relazione appena presentato all'Onu, lo speciale rapporteur dell'Onu per l'Eritrea ha confermato che sul fronte dei diritti civili nulla è cambiato nel piccolo paese del Corno d'Africa, anzi. Al rapporteur è stato ancora una volta negato l'ingresso in territorio eritreo e le autorità si sono rifiutate di collaborare, si legge nel resoconto.

Inoltre il rapporteur afferma che truppe somale addestrate in Eritrea sono state impiegate in Etiopia, nel conflitto del Tigrai in violazione del diritto internazionale. L'indagine ha preso il via dopo l'appello di alcune famiglie somale i cui figli sarebbero stati arruolati e dei quali si sarebbero perse le tracce. Mogadiscio ha sempre negato tale coinvolgimento.

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