martedì 5 gennaio 2010
Inaugurata ieri la torre record di 828 metri, che ha cambiato nome. Alla cerimonia hanno partecipato in 60mila. Lo sceicco l’ha dedicata al collega di Abu Dhabi che ha salvato il Paese dalla bancarotta. Ma nell’emirato la crisi morde, con il valore degli immobili ormai sceso del 50 per cento e la borsa nel caos.
  • Sotto il segno della torre e del povero di Davide Rondoni
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    Stretta nella morsa di una crisi economica senza precedenti, in un momento in cui il prezzo degli immobili è sceso del 50% e minaccia di scendere di altri trenta punti nei prossimi mesi e con una delle borse più instabili al mondo, Dubai ha inaugurato ieri, in pompa magna e facendo buon viso a cattivo gioco, l’edificio più alto del mondo. Svettando a 828 metri, il Burj Khalifa – nome in onore dello sceicco di Abu Dhabi, l’uomo che ha salvato Dubai dalla bancarotta – batte ogni record di altezza superando abbondantemente quello detenuto fino a ieri dal Taipei 101 di Taiwan, che misura 508 metri. Agli occhi del mondo questo edificio, costato oltre 4 miliardi di dollari, potrebbe apparire come un atto di alterigia e superbia. Ciò che giustifica la sua grandiosità, confermano infatti gli esperti, non sono tanto la scarsità di spazio per costruire e la densità urbana, ma il desiderio generale di possedere un’icona che simboleggi le ambizioni di Dubai. Davanti a questo missile statico nel ciel sereno di Dubai è infatti impossibile non subire soggezione. Quasi un chilometro di maestosità verso l’alto incastonata in 26mila pannelli di vetro, il Burj Khalifa ha 160 piani e una superficie di oltre 500mila metri quadri destinati a uffici e appartamenti. La costruzione di questo edificio che vanta aria più fresca e fina ai terrazzi dei piani superiori rispetto a quella afosa del piano terra, è cominciata nel 2004 al culmine del boom economico. L’edificio ospita il piano abitabile, l’ascensore e l’osservatorio più alti del mondo. Nei prossimi mesi saranno ultimate anche la più alta moschea e piscine al mondo, posizionate al 158esimo e 76esimo piano rispettivamente. L’edificio ospiterà anche un hotel di lusso che porta il logo di Giorgio Armani. La società udinese Interna ha fornito tutti gli arredi per l’albergo e arredi per ufficio e zone comuni e vip per conto della società Samsung. Nonostante non sia stato completato, l’edificio è stato inaugurato ieri dal leader di Dubai, lo sceicco Sheikh Mohammed Bin Rashid Al Maktoum durante una cerimonia alla quale hanno partecipato 60mila invitati che dal 124esimo piano hanno potuto ammirare il panorama fino a ottanta chilometri di distanza. Se Dubai voleva farsi notare, insomma, ora c’è senz’altro riuscita ma le preoccupazioni economiche aggravate dai forti debiti e da sempre meno investimenti in un mercato in discesa a picco, stanno senza ombra di dubbio offuscando la gloria di questo momento. «Il nostro timore – spiega David Butter, direttore regionale del Middle East and North Africa alla Economist Intelligence Unit – è che l’evento di oggi segni l’inizio del secondo collasso finanziario. Il primo fu nel novembre del 2008, due mesi dopo il crollo di Lehman Brothers, quando Dubai spese 24 milioni di dollari per la cerimonia di apertura dell’Atlantis Hotel, il primo albergo al mondo di sette stelle, un evento che sottolineò più che altro un gusto per la stravaganza e non quietò le ansie che la crisi non fosse affrontata seriamente». Per Saud Masud, capo ricercatore di Ubs, l’era delle stravaganze e delle grandi spese è finita. «L’epoca dei progetti mega è arrivata al tramonto per Dubai. Ora è giunto il momento di rimboccarsi le maniche, cercare di razionalizzare le risorse e di ricostruire l’economia in un modo o nell’altro». Solo lo scorso 25 novembre Dubai ha spedito scosse ai mercati globali chiedendo un congelamento su miliardi di dollari di debiti legati all’azienda di stato Dubai World e a Limitless e Nakheel, i due costruttori delle isole a forma di palma che sono diventate il simbolo della grandiosità di Dubai cambiando addirittura l’aspetto geografico della zona. Eppure per Mohamed Alabbar, presidente di Emaar, la più grande compagnia di costruzioni del mondo arabo che si è occupata della realizzazione del megaprogetto Burj Khalifa, il motivo per cui Dubai si sbizzarrisce in questo settore è «per migliorare la qualità della vita e portare un sorriso sul volto della gente. Le crisi vengono e vanno ma gli edifici restano, dobbiamo avere fede e ottimismo».
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