martedì 24 agosto 2010
Gli aerei «automatici» sono oggetto dei desideri di ogni esercito: silenziosi e letali, benché non sempre precisi. Ma si rivelano utili anche per gli impieghi non militari e sembrano così destinati a moltiplicarsi. Gli Usa ne possiedono più di 200, l'Italia ne schiera quattro in Afghanistan.
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Arma segreta nella guerra asimmetrica al terrorismo, gli aerei senza pilota o droni sono diventati l’oggetto dei desideri di tutti gli eserciti mondiali e in particolare dei rispettivi governi (ultimo in ordine di tempo l’Iran degli ayatollah, che ha presentato domenica il proprio; vedi box a fianco). Le ragioni sono presto dette: i droni, che possono essere guidati da una base situata a migliaia di chilometri di distanza, abbattono i costi delle missioni e si prestano al lavoro "sporco" senza fare troppa pubblicità alla guerra. I loro occhi sono telecamere: catturano l’obiettivo e ne rispediscono le immagini sul computer dell’operatore. Gli Stati Uniti vi hanno aggiunto i missili. A quel punto per bombardare basta un "clic".Così facendo da un anno e mezzo a questa parte la Cia ha eliminato in Pakistan decine di sospetti combattenti nemici, non senza il sacrificio di un numero imprecisato di civili (si dice 400), ma silenziosamente e senza passare dalle celle di Guantanamo. Alla fine del 2009 gli americani vantavano una flotta di 200 droni, addirittura contesi tra l’Aeronautica, i Marines e i servizi segreti. L’amministrazione Obama ha accelerato gli ordini. Sta di fatto che le vendite globali raddoppieranno nei prossimi dieci anni a 62 miliardi di dollari.Nessuno vuole restare indietro. Il Brasile, ad esempio, punta a schierarli per scopi di sicurezza dopo essersi aggiudicata i Mondiali di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016.È una corsa frenetica, che apre scenari imprevedibili e porta con sé situazioni al limite del paradosso. La Turchia ne ha comprati 10 dalle Industrie Aerospaziali Israeliane (Iai) per dare la caccia ai ribelli curdi. Tel Aviv ha già consegnato sei droni, ma ora che le relazioni diplomatiche sono "congelate", anche il contratto da 200 milioni di dollari potrebbe tornare in discussione. A meno di colpi di scena. L’interscambio tra i due Paesi è stato nel 2009 di 2,5 miliardi di dollari, in gran parte tecnologia militare passata da Tel Aviv ad Ankara.Molti osservatori prevedono che alla fine prevarrà il "business as usual". Va ricordato che i rapporti turco-israeliani iniziarono a deteriorarsi nel dicembre 2008, quando Tel Aviv sferrò l’offensiva "Piombo fuso" sulla Striscia di Gaza. Nell’operazione, fortemente criticata dal premier turco Erdogan, morirono oltre un migliaio di civili, molti dei quali falciati proprio da aerei senza pilota.Anche in Francia l’acquisto di droni è al centro di un caso politico. Il ministro della Difesa Herve Morin avrebbe già preso accordi con il collega americano Robert Gates per comprare quattro Predator B dal colosso californiano General Atomics. Una scelta dettata da condizioni economiche più favorevoli, che segnerebbe però un cambio di rotta nelle strategie di Parigi. Se l’accordo si concretizzasse, il governo francese volterebbe le spalle ai campioni nazionali come Thales-Dassault e Eads, probabilmente dilapidando decenni di ricerca nel settore aerospaziale.Un buon cliente di General Atomics è il nostro ministero della Difesa. L’Italia schiera quattro Predator in Afghanistan, dopo averli utilizzati in Iraq durante la missione Antica Babilonia, sempre con scopi di ricognizione. La flotta è destinata a crescere. Negli ultimi due anni il governo italiano si è interessato all’acquisto di sei MQ-9 Reaper (Predator B) da General Atomics per circa 400 milioni di dollari.La Gran Bretagna di Reaper ne ha soltanto due. Londra in compenso ha appena presentato il mostruoso Taranis, un drone da combattimento con tecnologia anti-radar realizzato nello stabilimento Bae Systems di Warton, nel Lancashire.Un aereo senza pilota costa la metà di un caccia F-16, resta in volo senza sosta per decine di ore (dopotutto è un robot) ed essendo comandato da un continente all’altro riduce al minimo il trasferimento di truppe nei teatri di guerra (almeno per l’aeronautica). Inoltre evita la perdita di piloti o la loro cattura, per non dire dei rapimenti, con il corollario annesso di ultimatum, ricatti e riscatti. Tutto ciò come è evidente riduce anche l’esposizione ai media e l’impatto che queste notizie avrebbero sull’opinione pubblica, senza contare la possibilità di condurre agevolmente operazioni coperte. Chissà se un drone ha mai avvistato Osama Benladen: se anche così fosse, difficilmente lo verremmo a sapere.MEZZI CONCEPITI PER LA RICOGNIZIONE, SIMILI AI VIDEOGIOCHISi definiscono droni quei veicoli in grado di volare senza pilota a bordo. Sono stati concepiti per scopi di ricognizione, perciò la loro dotazione include una serie di sensori, telecamere a raggi infrarossi e radar. A livello internazionale sono noti con l’acronimo Uav, dall’inglese Unmanned Aerial Vehicle, mentre i droni armati sono Unmanned Combat Air Vehicles (Ucav). Vi si riferisce anche come Unmanned Aircraft System (Uas) poiché gli aerei sono telecomandati da una base di terra, caratteristica che li fa paragonare a un videogioco. I primi prototipi furono sperimentati nelle due guerre mondiali, senza successo. La versione moderna fu introdotta da Israele nel 1982, durante la prima guerra in Libano, quando le immagini procurate dai droni consentirono a Tel Aviv di localizzare e neutralizzare la contraerea siriana. I colossi del settore sono l’americana General Atomics e Israel Aerospace Industries, anche se tutti i maggiori gruppi aeronautici sono impegnati nella ricerca o hanno sfornato modelli. L’italiana Finmeccanica svolge un ruolo chiave nella filiera, anche attraverso la controllata Drs Technologies.
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