mercoledì 14 maggio 2025
Lo scontro prosegue rivolto ai rispettivi pubblici nazionali. Modi fa sapere che non si piegherà al "ricatto nucleare". Islamabad: "Risponderemo con determinazione a qualsiasi futura aggressione"
Manifestazione a sostegno delle Forze armate indiane

Manifestazione a sostegno delle Forze armate indiane - REUTERS

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Fermata la guerra “guerreggiata”, con l’annuncio della tregua arrivata dalla bocca del presidente americano Donald Trump, tra Pakistan e India continua un’altra guerra: quella delle parole. Come sottolinea il The Straits Times, i leader dei due Paesi fanno a gara a chi usa i toni più forti, presentandosi, annota il quotidiano, “con i pugni alzati e gli occhi fiammeggianti”. Non solo: stampa e Tv continuano ad “aizzare” le rispettive opinioni pubbliche. Insomma, la tensione resta altissima. E la retorica incendiaria.

Oggi Islamabad ha assicurato che manterrà il suo impegno e rispetterà la tregua con l'India, concordata sabato dopo quattro giorni di intensi combattimenti, ma ha minacciato che risponderà “con determinazione a qualsiasi futura aggressione da parte di New Delhi”. La puntualizzazione è arrivata dopo che, ieri, il primo ministro indiano Narendra Modi aveva avvertito di essere pronto a intervenire contro i "focolai terroristici" oltreconfine in caso di nuovi attacchi, senza lasciarsi scoraggiare dal "ricatto nucleare". Modi non sembra animato dalla volontà di abbassare i toni. "Non faremo distinzioni – ha detto, visitando la base aerea di Adampur - tra il governo che sponsorizza il terrorismo e le menti del terrorismo. Entreremo nelle loro tane e li colpiremo senza dare loro la possibilità di sopravvivere".

Accusando il Pakistan di essere coinvolto nell'attacco terroristico del 22 aprile che ha ucciso 26 civili a Pahalgam, nel Kashmir controllato dall'India, il 7 maggio l'esercito indiano ha colpito nove obiettivi "infrastrutturali terroristici" in Pakistan. Islamabad, che ha sempre negato il suo coinvolgimento nell'attacco, ha risposto con il fuoco di artiglieria oltre confine, nel Kashmir controllato dall'India. Ne sono seguite ostilità di rappresaglia, caratterizzate da rivendicazioni, contro-rivendicazioni e disinformazione da entrambe le parti, finché il conflitto non è stato interrotto dal cessate il fuoco che, secondo il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, è stato mediato da Washington.

La “partita” tra i due Paesi, entrambi dotati di un arsenale nucleare e divisi da decenni di ostilità, si sta giocando davanti ai rispettivi “pubblici” nazionali. Ajai Sahni, direttore esecutivo dell'Institute for Conflict Management di New Delhi, ha notato che, rispetto al discorso "relativamente modesto" del premier pachistano Sharif, quello di Modi è stato caratterizzato da "maggiore belligeranza, condizionalità e affermazioni politiche", con implicazioni indubbie per le relazioni tra India e Pakistan. "Le dure posizioni nazionaliste sono rivolte al pubblico interno", ha affermato l’analista.

Un corteo in Pakistan

Un corteo in Pakistan - ANSA

In Pakistan, il conflitto ha rappresentato una grande forza unificante. "Prima dello scontro, il Paese era politicamente molto polarizzato e le masse, in difficoltà a causa della crisi economica, erano critiche nei confronti dell'esercito e dell'amministrazione al potere da esso sostenuta", ha affermato il professor Murad Ali, presidente del dipartimento di scienze politiche dell'Università di Malakand in Pakistan. "Ma opporsi a un'India potente ed economicamente superiore ha rafforzato la popolarità e l'immagine del governo e dell'esercito pachistani".

Per gli analisti il breve conflitto vede per ora un vincitore (ai punti): il Pakistan. Come scrive il sito di analisi Asia Times, “il risultato più significativo e sorprendente è stato l'inaspettato miglioramento della reputazione per l'establishment pachistano, finora in difficoltà, che è riuscito a consolidare la propria posizione nel mezzo della crisi”. Una vittoria (inaspettata) anche sul piano militare. Le recenti schermaglie aeree sul Kashmir hanno visto l'India perdere diversi aerei da combattimento, "tra cui i preziosi caccia Rafale di fabbricazione francese, un Su-30 MKI e un MiG-29 di fabbricazione russa, e un velivolo senza pilota – un risultato che, se confermato, metterebbe in discussione le ipotesi sulla superiorità aerea dell'India sul Pakistan".

Nel conflitto c’è anche in atto uno scontro tra la tecnologia militare cinese (che arma il Pakistan, che a lungo è stato rifornito anche dagli Usa) e quella occidentale (che arma l’India). Islamabad è per Pechino una sorta di "fratello corazzato". Negli ultimi cinque anni, la Cina ha fornito l'81% delle armi importate dal Pakistan, secondo i dati dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). Le esportazioni includono aerei da combattimento avanzati, missili, radar e sistemi di difesa aerea che, secondo gli esperti, svolgerebbero un ruolo cruciale in qualsiasi conflitto militare tra Pakistan e India.

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