venerdì 28 ottobre 2016
Nell’agosto 2014, gli uomini di Baghdadi hanno rapito 5.800 ragazze: la maggior parte è stata rivenduta come schiava o data in premio ai combattenti
Nadia Murad, 23 anni, ha commosso le Nazioni Unite: nel dicembre 2015 è intervenuta a New York per raccontare il dramma delle yazide.

Nadia Murad, 23 anni, ha commosso le Nazioni Unite: nel dicembre 2015 è intervenuta a New York per raccontare il dramma delle yazide.

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Sono il simbolo di una terra annientata non tanto dall’occupazione di città e villaggi e dall’imposizione del fondamentalismo jihadista, quanto dalla spersonificazione del corpo delle donne, violentato e umiliato.


Nadia Murad Basee Taha e Lamiya Aji Bashar sono yazide, minoranza religiosa di lingua curda, millenaria presenza della piana di Mosul e del Gebel Sinjar, nel nord ovest dell’ Iraq, portavoci dello stesso abissale dolore dei 5.800 donne e bambini rapiti nell’agosto 2014 durante un attacco a tenaglia da Mosul, Tal Afar e Deir ez-Zor. Oltre 450mila sfollati, migliaia di esecuzioni a fronte di conversioni forzate rifiutate, un obiettivo pianificato: il controllo di un’area strategica e la conquista di un “bottino di guerra” allettante sia per i combattenti integralisti che i foreign fighter.

Sullo sfondo, la dottrina dello stupro dei più “infedeli tra gli infedeli”. Gli yazidi appunto, accusati di essere adoratori del diavolo. Le donne sono state separate in base all’età e destinate per l’80 per cento alla vendita al «mercato delle schiave», il 20 per cento spartito tra i combattenti. Secondo il governo regionale del Kurdistan, a metà settembre le prigioniere erano 3.770 (cifra scesa nell’ultimo mese a 3.600), di cui 1.914 donne adulte e 1.856 uomini e bambini, i primi costretti a lavori forzati e i secondi trasformati in tagliagole e kamikaze. Aste reali ed online, siti specializzati, e l’ultima trovata delle chat su Telegram e Whatsapp, sono i mezzi per la mercificazione di queste donne, i cui prezzi variano dai 100 dollari ai 40mila, a seconda dei compratori, delle disponibilità economiche e delle loro “qualità”. Stupri di gruppo, violenze e torture, privazione del cibo e della libertà sono un destino a cui non sono sfuggite neanche le bambine. L’ultima atrocità è la vendita delle più giovani attraverso foto in cui compaiono truccate e rivestite di fronzoli per aumentarne il prezzo, o a cifre maggiorate direttamente ai loro cari.


Oltre 2mila quelle liberate attraverso il pagamento di un riscatto, la fuga organizzata da reti di attivisti o l’aiuto di famiglie estranee che le hanno aiutate a lasciare le prigioni di case, appartamenti e baracche in ogni angolo del Califfato. Chi torna, fa i conti con la povertà dei campi profughi, problemi fisici, gravi disturbi psicologici, la voglia di togliersi la vita. Nadia e Lamya sono la loro voce e il pungolo per un Occidente che «non può più ignorare la loro tragedia».

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