mercoledì 30 giugno 2010
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È una rappresentanza molto nutrita e diversificata di presenze quella che oggi sfilerà nella Corte europea dei diritti umani di Strasburgo in difesa del crocifisso. Oltre alle due parti direttamente in causa – Soile Lautsi e il Governo italiano – c’è anche un folto gruppo di parti terze che intervengono nel dibattimento alla Grande Chambre, e sotto questo profilo il piatto pesa nettamente a favore dell’Italia.Ci sono ben dieci Paesi che hanno presentato memorie in difesa del crocifisso. E poi vi sono 33 parlamentari che hanno presentato un documento preparato dalla Alliance Defense Fund, una organizzazione di avvocati nata negli Usa, molto attiva in tutto il mondo a difesa dei diritti umani, della vita e della famiglia. Sono intervenute con un loro documento anche organizzazioni non governative cattoliche, le Acli, le Settimane sociali di Francia, il comitato centrale dei cattolici tedeschi. A favore della posizione italiana ha presentato una memoria anche il Centro europeo per la legge e la giustizia.A sostegno della Lautsi, invece, c’è l’Associazione nazionale del libero pensiero. A difendere otto delle dieci nazioni che si sono costituite a favore della posizione italiana sarà il giurista Joseph Weiler, un ebreo osservante che si è già battuto per il riconoscimento delle radici giudeo cristiane dell’Europa. Secondo la Federazione Russa la sentenza ha ristretto il margine di discrezionalità degli Stati membri nelle questioni di libertà di religiosa ad una formula angusta, non tenendo conto delle differenze storiche e culturali dei Paesi europei, delle legittime diversità degli approcci nazionali e delle «imprevedibili conseguenze alle quali la sentenza può condurre».La memoria russa conclude che esponendo i crocifissi nelle classi lo Stato chiamato a rispondere presso la Corte, cioè l’Italia, nell’adempiere la sue funzioni rispetto all’educazione e all’insegnamento, non ha mancato di assicurare che l’educazione e l’apprendimento siano impartiti in modo oggettivo, critico e pluralistico, rispettando anche le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori in accordo con la Convenzione come modificata nei vari protocolli. Anche i Bulgari ricordano alla Corte la sussidiarietà riaffermata dal Consiglio d’Europa nel 1995, e inoltre registrano una grande inconsistenza tra la sentenza del 3 novembre e i giudizi precedenti di Strasburgo in merito agli articoli della Convenzione citati.Analogo il principio fondamentale assunto alla base del ragionamento dalla Lituania, che mette in chiaro come il simbolo religioso non possa essere interpretato in un vacuum, e neppure le garanzie della Convenzione debbano essere intese non tenendo conto delle specificità degli Stati, particolarmente in una sfera dove non c’è consenso in Europa. La Romania non vede come la raccomandazione di togliere il crocifisso potrebbe servire a conciliare le religioni dei cittadini, in realtà togliendo la possibilità di manifestarle. Il Principato di Monaco, ricordando che i simboli religiosi figurano sulle bandiere di numerosi Stati, rileva che non sono di per sé una minaccia alle libertà previste della Convenzione. Anche l’Armenia è convinta che l’esposizione del crocifisso non priva i genitori del loro diritto di educare i figli in conformità con le loro convinzioni religiose e filosofiche. San Marino interviene in difesa dell’Italia anche perché preoccupato: nonostante le sentenze riguardino solo il caso specifico, la Corte ha invitato a più riprese gli Stati a modificare la legislazione per evitare casi analoghi. Per Malta l’eliminazione di un simbolo della identità nazionale dallo spazio pubblico, per il fatto che ha anche un significato religioso per la maggioranza di quella comunità, appare incongrua e sproporzionata. Il governo greco individua nella sentenza contraddizioni con la giurisprudenza precedente, osservando che se la democrazia non può essere ridotta sempre alla supremazia costante dell’opinione maggioritaria, a più forte ragione non deve riservare alla maggioranza un trattamento ingiusto. Cipro infine, ricordando alla Corte che non ha competenza sull’ordinamento e la programmazione delle scuole, richiama il margine di valutazione che deve essere riservata ai singoli Stati.
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