lunedì 23 ottobre 2023
A Gaza esiste uno Stato dentro il «non Stato» dei terroristi ch4e vuole battere le vecchie gerarchie. In Libano, invece, il Partito di Dio potrebbe creare un conflitto globale
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Chi sono in realtà i protagonisti di questa crisi che sta insanguinando Israele, Gaza e i Territori palestinesi? Chi direttamente e chi, per ora marginalmente, si oppone a Israele dal fronte settentrionale? Per capire che cosa sta succedendo, bisogna forse immergersi in queste due realtà che per anni si sono chiuse a riccio, facendo filtrare solo pochissimi elementi e raggiungendo però il controllo del territorio senza precedenti.

Il fronte di Gaza

Militanti di Hamas sfilano con le bandiere nelle strade di Hebron inneggiando al jihad

Militanti di Hamas sfilano con le bandiere nelle strade di Hebron inneggiando al jihad - Ansa

È lecito immaginare che lo stesso piano capace il 7 ottobre di umiliare il grande fratello israeliano e stupire, per efficienza e ferocia, l’opinione pubblica mondiale, contenga un capitolo dedicato alla guerriglia fra le nuove, eterne macerie di Gaza. Sventrati i muri della prigione, portata la vendetta su soldati e coloni, il terrore sui civili, l’apocalisse è piovuta sulla Striscia senza il devastante “pudore” delle guerre precedenti. Tsahal, l’esercito israeliani, è ora chiamato sradicare la gramigna che si ostina a crescere nonostante le periodiche falciature.

È curioso a questo proposito ricordare che a partire dai primi anni ’70, e lungo un decennio, le moschee a Gaza sono passate da duecento a ottocento. I Paesi del Golfo, e l’Arabia Saudita in particolare, distribuivano strategicamente gli inesauribili proventi della nazionalizzazione del petrolio. Dalla Striscia sparivano i bikini come l’afflato panarabo di Nasser, mentre il piccolo manipolo di Fratelli musulmani guidati dallo sceicco Yassin creava “innocue” associazioni giovanili, generosi enti caritatevoli per la moltitudine ridotta alla miseria sotto occupazione israeliana.
A Tel Aviv i governi di destra che avevano soppiantato il laburismo della fondazione lasciavano fare, facilitavano il rinascimento religioso con l’obiettivo di indebolire la resistenza laica dell’Olp dominata da Fatah, già avviata a diventare la corrotta “Repubblica di Fakhani” di Beirut ovest. Il paradigma della triangolazione fra anelito coloniale, fallimentare istituzionalizzazione e risposta fondamentalista era stato stabilito.
Hamas oggi è un parastato. Il dominio su Gaza ottenuto con la vittoria nello scontro fratricida con Fatah nel giugno 2007 ha permesso alle organizzazioni che sempre erano esistite sotto la cute dell’Autorità Palestinese di dispiegarsi, articolandosi al feticcio statuale nato con gli accordi di Oslo, occupandolo e deformandolo. Uno stato nello Stato. Per rispondere all’embargo economico voluto da Ramallah e Tel Aviv, all’isolamento geografico e alle necessità militari il sistema dei tunnel è diventato un continente carsico gestito da una commissione che raccoglie fino a 200 milioni di dollari l’anno, parte non irrilevante di un Prodotto interno lordo che si sostanzia sia di limpide che di non dichiarate donazioni.
Il pletorico apparato poliziesco plasmato dall’Olp è stato ridotto, ristrutturato e affidato a personalità vicine al partito, il monopolio della forza è ottenuto rapidamente con la spietata repressione degli avversari e il lavoro attento dei servizi, che contano nella Striscia oltre 5.000 informatori. Il controllo morale della società è ben rappresentato dall’obbligo per ogni membro della polizia di indicare la moschea dove verranno effettuate le preghiere del mattino e della sera. Il sistema giuridico civile si è visto affiancato dai Comitati di riconciliazione, ispirati alla Sharia. L’equilibrato curriculum scolastico immaginato per le elezioni del 2006, legittimamente vinte e in seguito boicottate da Washington, Ramallah e Tel Aviv, è stato interpretato dopo il 2007 da una classe docente fatta interamente di affiliati al movimento. Resta immutato nelle scuole amministrate dall’Unrwa, circa un terzo del totale.
Lo spazio libero della piccola enclave è servito all’ala militare, le Brigate Qassam, per adattare e migliorare le tecniche di guerra asimmetrica nonostante i periodici assalti dal cielo, incapaci di scoraggiare la rigenerazione della resistenza, parte di un asse che comprende Iran (sempre più rilevante e pesante negli aiuti soprattutto militari), Siria e Hezbollah e non impedisce ad Hamas di condurre una vera e propria, seppur asfittica, politica estera. Hamas continua dimesso e clandestino in Cisgiordania, nell’inferno dimenticato da tutti dei campi di Libano e Siria, nelle prigioni israeliane dove complessi e lunghissimi meccanismi permettono ai detenuti di votare nelle dinamiche elettorali interne.
Chi nella galassia di Hamas ha deciso l’operazione del 7 ottobre? Il Politburo? L’ala militare? I religiosi della Shura? Pochi si dice. Pochi che hanno deciso di usare il terrore per scuotere l’oblio della questione palestinese. (Luca Foschi)

L'ARSENALE DEI FONFAMENTALISTI: ventimila combattenti e razzi che arrivano a 150 chilometri

L’ala militare di Hamas allinea fra i 15mila e i 20mila combattenti. Lo stimano l’Istituto di studi strategici Isss e il think tank israeliano Inss. Ma i media arabi parlano di una forza complessiva di 40mila guerriglieri, strutturata intorno a un nucleo permanente di 10mila unità e a riservisti. L’insieme è molto ben organizzato, fluido e ripartito in settori di difesa fra loro autonomi ma sinergici.
Ogni squadra può combattere una tecno-guerriglia a colpi di droni, razzi a carica cava Rpg, mortai e missili anticarro Fagot, Konkurs, Kornet e derivati iraniani. L’equipaggiamento individuale, dai fucili d’assalto alle pistole, alle mitragliatrici, è di fattura cinese, est-europea e israeliana (preda bellica). Copioso l’arsenale missilistico, stimato in 7-10mila ordigni di qualità variabile.
A parte i Qassam, rudimentali, almeno 450 sono i Grad sovietici, 400 gli M-75 e Fajr 5 iraniani da 80 km, e poche decine i missili M-302 e R-160 siro-persiani, precisi e portanti su 150 chilometri, a minacciare la quasi integralità del territorio israeliano. (F.P.)

Il fronte del Libano

Guerriglieri di Hezbollah mostrano i muscoli, esibendo gli armamenti con i quali sono equipaggiati

Guerriglieri di Hezbollah mostrano i muscoli, esibendo gli armamenti con i quali sono equipaggiati - Ansa

Quando un parente, giorni fa, mi chiese di accompagnarlo a comprare un paio di scarpe da ginnastica di una nota marca americana, non mi venne minimamente il sospetto che mi avrebbe portato nella periferia sud di Beirut. Il solo nome di «Dàhye» (letteralmente periferia, ndr) suscita automaticamente in molti libanesi un senso di timore in quanto richiama una precisa definizione: «roccaforte di Hezbollah». Accennai un sorriso quando il mio familiare entrò lanciando un allegro «bonjour» all’indirizzo della giovane commessa velata, come se si trovasse nel quartiere cristiano della capitale. Poi mi accorsi che lei portava l’ultimo modello di jeans e che il suo collega cassiere era pettinato meglio di un suo coetaneo americano. Degli edifici rasi al suolo nei massicci bombardamenti dell’estate 2006, nel corso dell’ultima guerra che ha opposto lungo 33 giorni il movimento sciita a Israele, non c’è più alcuna traccia. Al loro posto, nuovi palazzi ed esercizi commerciali. È difficile pensare che questa affollatissima area sarà, assieme al Sud del Libano, tra i primi obiettivi dei caccia israeliani in caso di estensione della guerra in corso al Paese dei Cedri. Altrettanto difficile distinguere le sedi militari degli Hezbollah dalle abitazioni civili.

In fondo, l’unica “presenza” tangibile del partito filo-iraniano è rappresentata dalle gigantografie dei “martiri” e degli ayatollah, come pure dagli striscioni appesi un po’ ovunque, molti dei quali riprendono affermazioni su Israele e gli israeliani pronunciate dal leader Hassan Nasrallah e diventate popolari.
«Awhan min bayt al-ankabut», più fragile di una ragnatela, oppure «In udtum udna», se tornerete torneremo. L’ultimo atto di sfida agli Stati Uniti è stata la decisione del municipio di Ghobeiry, uno dei quartiere della periferia meridionale, di dedicare una via al “martire Qassem Soleimani”, il comandante della Brigata al-Qods dei pasdaran, ucciso il 3 gennaio 2020 in un raid americano nei pressi dell’aeroporto di Baghdad.
La vecchia “Linea verde” che durante la guerra libanese ha diviso la capitale in Est e Ovest è oggi sostituita da una percepibile divisione Nord-Sud. Motivo principale, le varie dimostrazioni di forza che la formazione sciita ha voluto dare negli ultimi anni alle altre forze politiche libanesi. Dalla “insurrezione” del 7 maggio 2008 in cui il gruppo ha occupato militarmente Beirut, alla repressione dei manifestanti inermi durante le proteste antigovernative, fino agli “incidenti di piazza Tayyune” dell’ottobre 2021 che hanno risuscitato i fantasmi della guerra civile. Senza dimenticare che molti libanesi deplorano la protezione offerta da Hezbollah a un suo militante riconosciuto colpevole dell’assassinio del premier Rafiq Hariri, mentre altri ritengono il partito responsabile in qualche modo dell’esplosione del porto di Beirut nel 2020 provocata da un’enorme quantità di nitrato di ammonio.
Il rischio di trascinare il Libano, tutto il Libano, è ora un nuovo motivo di apprensione, dato il ritmo quotidiano degli scontri lungo la “Linea blu” di demarcazione. Con o senza il beneplacito ufficiale, Hezbollah gestisce praticamente da solo “l’equilibrio della deterrenza” con Israele. Dente per dente, missili per missili. Ci si chiede come faccia il partito a passare il suo arsenale nonostante il dispiegamento nella zona dei caschi blu dell’Unifil. La risposta dei simpatizzanti è immediata: è sostenuto dagli abitanti del Sud, a maggioranza sciita. Una risposta ritenuto da molti osservatori discutibile. Alle ultime elezioni legislative del 2022, Hezbollah ha raccolto il maggior numero dei consensi a livello nazionale con il 17,8 per cento delle preferenze, che nell’elettorato sciita tocca il 63 per cento, cui si somma un altro 30 per cento andato all’altro partito sciita, Amal, guidato dallo Speaker della Camera Nabih Berri. Dall’esame della provenienza dei 12 caduti del partito, si denota che cinque erano originari della prima linea di fronte: Aitarun, Meis el-Jabal, Hanuieh. Altri sei venivano dalla seconda: Kunin, Ansar e Kherbet Selm (provincia di Nabatieh), Sohmor e Mashgara (Beqaa ovest).
Gli avversari di Hezbollah obiettano asserendo che quel 60 per cento diventa 30 se consideriamo che il tasso di partecipazione era del 51 per cento e tenendo conto delle intimidazioni esercitate dal gruppo sui loro rivali. (Camille Eid)

L'ARSENALE DEI FILO IRANIANI: cinquantamila effettivi, più forti e armati che nel 2006

Hezbollah è un Hamas all’ennesima potenza. Nel 2021, dichiarava un effettivo di 100mila uomini, ma è più probabile una forza di 50mila combattenti, con un nerbo di 20mila effettivi molto ben addestrato. I riservisti sarebbero meno preparati, anche se seguono corsi trimestrali in Libano e in Iran. Detto questo, l’Hezbollah di oggi è più coriaceo di quello del 2006, già semi-vincente su Israele. La sua organizzazione tattica ricorda quella franco-tedesca degli anni 1960-70, con una prima linea versata nella tecnoguerriglia e un’artiglieria in appoggio. Combattendo con i russi e gli iraniani nella guerra civile siriana, Hezbollah ha imparato pure a guidare tank e a paracadutare uomini. Si è dotato di forze speciali (Redwan), armate dai russi e studiate per colpire porti e siti strategici israeliani, con missili antinave e uomini-rana. Sommando tutti i vettori, Hezbollah allineerebbe oggi 130-150mila razzi, alcuni dei quali (Zelzal) se lanciati insieme raggiungono la potenza della bomba atomica di Hiroshima. Le grandi città israeliane sono tutte a portata. (F.P.)








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