venerdì 1 ottobre 2010
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«L'Europa è immersa in un grande inverno demografico. Per il futuro, le previsioni sono ancora più catastrofiche. Purtroppo i governi europei non si sono ancora resi conto dei problemi che stanno per esplodere. Hanno una visione limitata, a breve termine, e pensano ancora si possa intervenire con politiche come il prolungamento dell’età lavorativa. Sbagliano, perché non risolvono la situazione all’origine». Eduardo Hertfelder, responsabile dell’Istituto di Politica Familiare (Ipf), ha pochi dubbi sul panorama demografico e sulle politiche familiari adottate nel Continente: «Continuiamo con un trend tutto negativo».Nel rapporto che la responsabile della Rete europea dell’Ipf, Lola Velarde, presenterà oggi all’Assemblea plenaria delle Conferenze episcopali europee a Zagabria, emergono dati allarmanti. «L’Europa ormai è veramente un "vecchio continente": ci sono più anziani che giovani. Ma nel 2050 arriveremo ad una situazione tale, per cui solo il 14% della popolazione avrà meno di 14 anni e il 30% supererà i 65 anni», anticipa Hertfelder ad Avvenire. L’invecchiamento è ormai «globale, non parliamo più solo dei 27 membri dell’Unione europea: nel nostro studio sono compresi anche Paesi come la Russia». C’è un altro dato chiave: una chiara contraddizione fra la teoria e la pratica. «Nonostante molti Paesi d’Europa riconoscano nelle loro Costituzioni l’importanza della famiglia e il dovere dello Stato di proteggerla, i governi continuano ad approvare leggi che sono passi indietro», ad esempio sull’aborto. Quanto agli aiuti pubblici per le famiglie o la maternità, siamo ancora in alto mare: «Purtroppo, il quadro è pessimo»; la Spagna, su questo fronte, è il fanalino di coda d’Europa e l’Italia non è messa molto meglio. Non è la prima volta che l’Ipf lancia l’allarme. Nel novembre 2009 la Rete europea dell’istituto di politica familiare presentò un altro rapporto di fronte al Parlamento Ue. I principali problemi del continente – avvisava l’organismo – sono «l’invecchiamento della popolazione, la natalità critica, l’incemento degli aborti, il crollo delle nozze, l’esplosione delle fratture familiari e lo svuotamento dei nuclei»: in due case su tre non ci sono figli. A livello sociale, secondo l’Ipf, il panorama mostra una «società destrutturata dalla rottura familiare, con case sempre più solitarie, con un individualismo crescente e una perdita di valori e punti di riferimento che rendano possibile la coesione sociale». Le conseguenze di questa tendenza saranno pesanti anche sul fronte economico. La spesa pubblica continuerà ad aumentare a causa dell’invecchiamento demografico, con l’inevitabile crescita del budget destinato a pensioni e sanità. L’altra faccia della stessa moneta è il deficit di natalità. Risultato: il welfare europeo rischia il fallimento. Uno degli aspetti più preoccupanti che sottolineava lo scorso novembre l’Ipf, era l’incremento esponenziale delle interruzioni volontarie di gravidanza: dal 1990 «sono stati realizzati 28 milioni di aborti nell’Unione europea» e ormai «sono diventati la prima causa di mortalità» nel continente. Quell’agghiacciante cifra – 28 milioni – equivarrebbe a tutte le popolazioni di Malta, Lussemburgo, Cipro, Estonia, Slovenia, Lettonia, Lituania, Irlanda, Finlandia e Slovacchia. Serve una virata, un cambiamento di rotta. «È necessario riorientare le politiche familiari» dei governi europei, affinché «si concentrino anche sulla famiglia come gruppo sociale, per facilitare lo svolgimento corretto delle sue funzioni», secondo l’Ipf. Ma non bastano le «politiche settoriali o i programmi integrali per i membri delle famiglie come individui». Per l’Istituto, è necessaria una strategia che riconosca «il gruppo familiare come mezzo affettivo, educativo, economico e sociale», dunque legislazioni che non parlino più solo in termini di individui, bensì di «persone che vivono in una famiglia».
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