martedì 8 dicembre 2009
Metà vive nel Paese anatolico (in cui la lotta armata del Pkk non si ferma), molti in Iraq, dove i loro seggi possono essere l’ago della bilancia in Parlamento tra sciiti e sunniti. Ancora persecuzioni in Iran e Siria. E in Kurdistan si è rotta la convivenza pacifica tra musulmani e cristiani, vittime di discriminazioni e attacchi.
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In Turchia, il governo di Ankara lancia segnali di apertura alla minoranza curda. In Iraq, il peso politico della provincia settentrionale semi-autonoma del Kurdistan cresce e si fa sentire nella delicata fase pre-elettorale. Segnali che si susseguono da mesi e che lasciano sperare in un miglioramento delle condizioni di vita dell’etnia curda – popolo di cultura antica e altrettanto antico tormento – e in un riconoscimento della sua identità.È in Turchia, sul cui territorio vive più del 50% della popolazione curda, che si registrano i più significativi cambiamenti, sul piano politico e su quello delle libertà civili: in diretta televisiva, il premier Recep Tayyip Erdogan ha annunciato a metà novembre che il Parlamento discuterà un piano per porre fine alla cosiddetta questione curda, riconoscendo alla minoranza identità e diritti civili e politici. Ecco, nel frattempo, alcuni segnali di distensione. L’apertura della prima facoltà universitaria di lingua curda segna una svolta storica, se si pensa che, solo fino a pochi anni fa, non ne era tollerato l’uso dell’idioma. Parallelamente, sulle tv private turche le trasmissioni televisive in curdo non sono più sottoposte a restrizioni (non esistono né un limite di tempo né l’obbligo di sottotitoli), come invece previsto in precedenza. E sul satellite è disponibile l’emittente Trt Ses, integralmente in lingua curda e finanziata con fondi pubblici. Il piano governativo per le province curde non è ancora stato reso pubblico ma, secondo indiscrezioni, esso prevederebbe un’amnistia per il braccio armato del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), arroccato sulle montagne orientali turche; aiuti economici alle province curde; forse anche un sistema di autonomie concesso alle regioni di maggioranza curda in materia di istruzione e cultura. Ora toccherà al Pkk – 12mila miliziani sarebbero ancora nascosti al confine con l’Iraq – rendersi disponibile al dialogo: da sottolineare che il regime carcerario del leader Abdullah Ocalan è stato "ammorbidito" proprio nei giorni in cui il Pkk celebrava il suo 31° anniversario. I festeggiamenti sono stati oscurati da scontri fra militanti e forze di polizia.Intanto, anche sul fronte iracheno si intrecciano il riconoscimento dell’identità culturale (ad esempio, dal 27 novembre è nelle edicole del Kurdistan il mensile francese Le monde diplomatique in curdo iracheno e curdo turco) e quello politico. Se il regolamento per l’attribuzione dei seggi nazionali non sarà modificato, ha dichiarato il primo ministro curdo Massud Barzani, i curdi iracheni non si recheranno alle urne alle prossime elezioni parlamentari di inizio 2010. In questo modo, la minoranza curda, sicura di poter ambire a più di 40 seggi su 275 - il sistema attuale non le assegnerebbe più di questa quota - diventa l’ago della bilancia nello scontro fra sunniti e sciiti. Il peso politico della provincia curda dipenderà dalla capacità dei suoi partiti di trovare una posizione comune: i curdi iracheni potrebbero influenzare anche la strategia politica e militare statunitense in Iraq, incentrata sul successo dell’appuntamento elettorale. In Kurdistan, in passato distesi e cordiali, da alcuni anni i rapporti fra curdi cristiani e curdi musulmani si sono fatti più tesi. Prima dell’invasione statunitense del 2003, i curdi cristiani erano integrati nel tessuto sociale in maggioranza musulmano; ora, invece, sono spesso considerati collaboratori degli invasori stranieri, di cui condividono il credo religioso, traditori il cui unico obiettivo sarebbe quello di convertire i concittadini. Le infiltrazioni integraliste, sunnite e sciite, provenienti dal Sud dell’Iraq infiammano la situazione, così come evidenziato da un rapporto dell’organizzazione Human Rights Watch del novembre di quest’anno: in Iraq, al pari degli arabi musulmani, i curdi musulmani sono responsabili d’intimidazioni e violenze nei confronti dei concittadini cristiani, da ultimo nella zona di Ninive. Non mancano episodi di conversioni al cristianesimo scoperti e puniti con la duplice motivazione dell’apostasia e dello spionaggio.Non sembrano, invece, guadagnare terreno le minoranze curde di Iran e Siria: nella Repubblica islamica sciita, infatti, gli attivisti curdi continuano ad essere perseguiti per «propaganda contro lo Stato», detenuti e torturati (come denuncia il rapporto 2009 di Amnesty International). A fine novembre è stata eseguita l’ultima condanna a morte di un cittadino curdo oppositore del regime. I civili sono discriminati per la loro cultura e religione (in maggioranza musulmana sunnita), non possono utilizzare la propria lingua, studiarla, insegnarla. Damasco, invece, continua a negare i documenti di identità a migliaia di curdi, rendendoli così "apolidi", privi di qualsiasi diritto. Il caso di Barzai Karro, ventenne fuggito a Cipro nel 2006 e rimpatriato forzatamente nell’ottobre 2008, ha avuto ampia eco sui giornali internazionali, ma ciò non lo ha salvato da ripetuti arresti e torture nelle carceri siriane. Purtroppo, l’"iniziativa curda" annunciata dal primo ministro turco Erdogan non sembra ancora aver spinto i suoi vicini e alleati a riconoscere l’identità della quarta etnia mediorientale dopo arabi, persiani e turchi.
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