martedì 23 novembre 2010
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Hanno chiuso con una lentezza pesante e rassegnata le porte azzurre del negozio; le hanno bloccate con la spranga di ferro. Per un po’ resteranno a casa. Barricati in casa. Ci avevano provato, alcuni cristiani di Mosul, a continuare a lavorare. Cioè a vivere. Ieri, mentre i soldati isolavano l’area industriale dopo l’ennesimo attacco, hanno lasciato lì le loro cose insieme a un ultimo sguardo. Chissà quando torneranno alle loro attività. Hanno visto uccidere Wahad e Saad Hanna, fratelli di 43 e 40 anni, come due condannati davanti al plotone. Colpevoli solo di essere siro-cattolici. Stavano in officina, nel quartiere di Igab, a lavorare. Un gruppo di uomini armati è arrivato sull’uscio e li ha freddati con una raffica di mitra. È stata una vera e propria esecuzione.Poche ore prima, nel quartiere di al-Bakr, una famiglia di cristiani si è salvata dal massacro solo grazie all’intervento di alcuni musulmani. Hanno visto i terroristi arrivare e in qualche modo li hanno costretti alla fuga. Un gesto «fortemente apprezzato» dal governatore di Ninive (la provincia in cui sta Mosul), Athel al-Nujeifi, che ha detto di ammirare il comportamento di queste persone «che si sono schierate dalla parte dei loro fratelli cristiani e li hanno difesi». Perché la gente di Mosul, cristiani o musulmani, vorrebbe solo potersene stare in pace. Invece si ritrova a subire la guerra di al-Qaeda. I terroristi hanno dichiarato la comunità cristiana «obiettivo legittimo» e strumento (facile e indifeso) della loro strategia di destabilizzazione. E vanno avanti. Anche chi era determinato a restare ci sta ripensando. A Mosul erano 50mila i cristiani nel 2003; sono settemila oggi. In Iraq non sono più sicure le case: sei morti solo pochi giorni fa negli attacchi mirati contro le abitazioni in diversi quartieri di Baghdad. Non sono più sicure le chiese: oltre 60 morti nella strage del 31 ottobre alla cattedrale Nostra Signora del perpetuo soccorso, sempre nella capitale. Non sono più sicuri i locali pubblici, le scuole e non è più possibile lavorare. I cristiani nel Paese sono sotto tiro ovunque, qualunque cosa stiano facendo, indipendentemente da tutto. Bersagli casuali e mobili come quelli del luna park.Il vescovo caldeo di Mosul, Emil Shamoun Nona, spiega che molte famiglie cristiane hanno chiesto i documenti ecclesiastici necessari per l’espatrio. «Molti – aggiunge – hanno lasciato la città diretti verso i villaggi circostanti in attesa di emigrare all’estero». Tutti sono terrorizzati. E lo sono da mesi. Ma l’escalation di al-Qaeda ha ormai reso la loro vita impossibile, nel senso più proprio del termine. «La soluzione è nelle mani dello Stato, responsabile della protezione del suo popolo, ma a quanto pare è totalmente incapace di questo», dice monsignor Nona. Secondo il religioso, «tutti i leader iracheni conoscono la situazione dei cristiani a Mosul e a Baghdad e promettono di proteggerli in quanto sono una delle componenti del tessuto sociale del Paese». Eppure, «alla fine continuiamo ad essere minacciati, uccisi e costretti ad andarcene». Quanto alle possibili soluzioni, tra cui la creazione di una regione autogovernata, il vescovo di Mosul sostiene che «tutte le opzioni sono aperte e qualunque soluzione che possa proteggere la vita e la dignità dei cristiani è ben accetta», anche se «non si può affermare che questa sia la migliore».
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