lunedì 15 novembre 2010
Si amplia il «fronte» internazionale per fermare le violenze contro la piccola comunità di fedeli. La Chiesa locale e la Commissione per i diritti umani hanno chiesto all’esecutivo di aprire un un tavolo per rivedere la contestata norma, ma per gli ulema è «intoccabile».
- Le altre donne vittime della legge sulla blasfemia
L'incaricato Onu: «La legge va cambiata»
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La condanna a morte di Asia Bibi per il reato di blasfemia lo scorso 7 novembre ha riaperto il dibattito sulla sorte delle minoranze in Pakistan e messo ancora una volta alla ribalta l’arbitrarietà di una legge che giustifica sopraffazione e violenze. Se Asia, 37enne madre di due figlie, da oltre un anno incarcerata lontano dalla famiglia, è la prima donna pachistana ad essere condannata a morte per “bestemmia”, non è l’unica ad avere subito per lo stesso reato il carcere, il processo e magari anche una condanna severa poi smentita in appello. Sono complessivamente 17 le donne che condividono o hanno condiviso la sua sorte, di cui 15 cristiane.Proprio in queste settimane, un’altra cristiana, Martha Bibi, è in attesa delle sentenza da parte del tribunale di Lahore, capoluogo della provincia del Punjab, per una vicenda che risale a oltre due anni fa. Incarcerata e poi liberata su cauzione, Martha è stata nuovamente incarcerata per essere processata. Questa madre di sei figli era stata arrestata il 23 gennaio 2007. La donna aveva chiesto a conoscenti musulmani di mediare con gli operai del cantiere per la costruzione di una vicina moschea la restituzione del materiale che non le era stato pagato, e all’imam il pagamento di quanto utilizzato. Dopo diverse risposte negative, la donna aveva avuto un diverbio con una vicina, che avrebbe riferito all’imam locale le sue parole di spregio verso il profeta Maometto. La stessa guida religiosa l’aveva poi denunciata alla polizia che l’aveva arrestata, ma non prima che una folla inferocita ne bruciasse la casa. Successivamente, Martha era stata rilasciata con il pagamento di una cauzione di 100mila rupie (circa 900 euro). Le minacce hanno reso difficile a lei e alla sua famiglia l’esistenza degli ultimi due anni, fino al nuovo arresto, lo scorso maggio, per le pressioni e le proteste degli estremisti. Anche questo caso mette in risalto la fragilità della piccola comunità cristiana, ancora più di altre minoranze religiose, davanti al fondamentalismo crescente dove un tempo la convivenza era prassi e a causa di provvedimenti legali che garantiscono ai radicali islamisti possibilità di accuse arbitrarie e immunità.Da tempo le minoranze, ma anche parte della società civile musulmana, si sono mobilitate per chiedere l’abrogazione degli articoli del Codice penale pachistano che complessivamente sono conosciuti come “legge antiblasfemia”. La Chiesa, la Commissione nazionale per i diritti umani e altri gruppi della società civile, islamici compresi, contestano apertamente la legge e ne chiedono l’abolizione. Oggi domandano al governo di aprire un tavolo ufficiale in Parlamento per riesaminarla, e il ministro federale per le Minoranze religiose, Shahbaz Batti, ha deciso di promuoverne la revisione. Al contrario, la Conferenza degli Ulema del Pakistan, in rappresentanza di oltre 30 movimenti musulmani, la ritiene «intoccabile» e minaccia dure proteste.Data la situazione, conferma l’agenzia Fides, le Chiese pachistane e le comunità cristiane nel mondo hanno rilanciato la petizione per l’abolizione della legge sulla blasfemia lanciata un anno fa: 75mila le firme raccolte e consegnate al governo di Islamabad per iniziativa della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale pachistana e numerosi altri gruppi. A livello internazionale, l’iniziativa è stata accolta da Aiuto alla Chiesa che soffre: in Francia il Segretariato dell’Opera ha raccolto e consegnato al governo francese otre 10.600 mila firme, mentre il Segretariato italiano in poche settimane ha raccolto 1.400 adesioni e si appresta a rilanciare la petizione in occasione della presentazione del Rapporto 2010 sulla Libertà religiosa che si terrà il 24 novembre a Roma.Da registrare anche i 40mila messaggi e-mail che chiedono la liberazione di Asi Bibi ricevuti dai dipartimenti governativi grazie all’impegno di associazioni cristiane, gruppi di tutela dei diritti umani o semplici cittadini.
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