giovedì 4 novembre 2010
Un vertice di emergenza si è tenuto a Baghdad fra il primo ministro in carica e una delegazione di presuli e leader politici cristiani di tutte le confessioni. Espressi sconcerto e sofferenza per l'attacco che la comunità cristiana ha subito il 31 ottobre, ricordando che anche nei mesi scorsi, in tutto il Paese, luoghi e fedeli cristiani hanno subito minacce, aggressioni e violenze.
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Il tema della sicurezza per la comunità cristiana in Iraq è stato al centro stamane di un vertice di emergenza tenutosi a Baghdad fra il primo ministro in carica Nuri al-Maliki e una delegazione di vescovi e leader politici cristiani di tutte le confessioni. Lo rende noto l'agenzia vaticana Fides.Fonti presenti all'incontro riferiscono che i vescovi hanno espresso al primo ministro sconcerto e sofferenza per l'attacco che la comunità cristiana ha subito il 31 ottobre, ricordando che anche nei mesi scorsi, in tutto il Paese, luoghi e fedeli cristiani hanno subito minacce, aggressioni e violenze.La delegazione, che comprendeva il cardinale di Baghdad, Emmanuel Delly, ha espresso anche la preoccupazione per il futuro, raccontando la precarietà e lo shock dei fedeli cristiani, e il diffuso desiderio di lasciare il Paese.Il premier, che ieri ha visitato nell'ospedale di Baghdad alcuni fedeli rimasti feriti nell'assalto terroristico alla cattedrale siro-cattolica di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso, ha promesso che lo Stato farà di tutto per assicurare protezione e tutela, valutando importante e preziosa la presenza dei cristiani nel Paese. Fra le immediate strategie, si è deciso di rafforzare le misure di sicurezza nei pressi delle chiese e dei monasteri, soprattutto in occasione delle liturgie e degli incontri di preghiera.Al Maliki, inoltre, si recherà sabato prossimo in visita alla chiesa siro-cattolica per rendere omaggio alle vittime, per portare una ulteriore testimonianza di vicinanza e solidarietà alla comunità cristiana, per ribadire rispetto e stima verso la componente cristiana della società irachena, da sempre impegnata per il bene della nazione. Il vertice si è concluso rimarcando l'unanime opinione che l'intero Paese - la politica, la società civile, le comunità religiose - deve impegnarsi per tutelare la presenza e il contributo dei cristiani all'Iraq.L'ALTO COMMISSARIATO ONUUna nuova impennata della violenza settaria in Iraq, dopo gli attacchi contro la comunità cristiana, potrebbe essere letale, ha ammonito oggi a Ginevra l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Navi Pillay. «È imperativo che il governo iracheno intervenga in modo deciso e imparziale ai primi segni di incitamento all'ostilità e alla violenza contro ogni gruppo religioso o minoranza», ha detto Pillay condannando «con forza» gli attacchi contro le comunità religiose in Iraq che hanno causato la morte di 50 civili nella presa d'ostaggi in una chiesa di Baghdad e di altri 68 in una serie di esplosioni in quartieri a maggioranza sciita  della capitale.L'Alto commissario si è pronunciata per «immediate misure concrete per fornire una migliore protezione alle minoranze e ai gruppi vulnerabili in Iraq. L'Ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani dispone di una presenza in Iraq. LE MINACCE AI CRISTIANI«Bersagli legittimi», da colpire in ogni momento: questa la sorte dei cristiani in Iraq. La minaccia – gelida e sintetica – ieri correva con un nuovo messaggio sulla Rete: «Tutti i centri, organizzazioni, istituzioni, dirigenti e fedeli cristiani sono bersagli legittimi per i mujaheddin, ovunque possano colpirli», precisava il comunicato del “ministero della Guerra” dello Stato islamico iracheno. Domenica sera, subito dopo la strage alla cattedrale di Nostra Signora del perpetuo soccorso, la rivendicazione del gruppo affiliato ad al-Qaeda: un attacco deciso per aiutare le «povere sorelle musulmane prigioniere dell’Egitto», scriveva il comunicato dello Stato islamico iracheno. Si concedevano 48 ore per liberare due donne «imprigionate nei monasteri dell’infedeltà nelle chiese dell’idolatria in Egitto». Si tratterebbe di Camilia Chehata e Wafa Constantine, mogli di sacerdoti copti, trattenute – secondo i terroristi – in un convento dopo essersi convertite all’islam. Fatti smentiti dalla gerarchia copta.Un confuso movente per la strage di Ognissanti, che ieri ha aggravato ulteriormente il bilancio di morte: 58 le vittime in totale fra cui un terzo sacerdote, padre Qatin è morto per le ferite riportate nell’assalto. Gli inquirenti, rivela il Washington Post, hanno ritrovato fra le rovine della cattedrale tre passaporti yemeniti e due egiziani che dimostrerebbero la matrice straniera del commando dei terroristi.Particolari che non cambiano la dura realtà dei cristiani d’Iraq: bersagli, e ormai da più di sette anni, con la sola prospettiva della fuga. Condizioni, constatava ieri amaramente l’arcivescovo siro-cattolico di Baghdad, Shaba Matoka, «che ci spingono a emigrare e che porteranno il nostro popolo a lasciare il Paese». Per questo l’arcivescovo – che martedì ha ricevuto una lettera di condoglianze da parte del Papa – ha chiesto a Benedetto XVI di lanciare «un appello alla comunità internazionale e agli Stati Uniti in modo particolare perché risolvano questo problema». Un intervento internazionale o la fine della comunità perché «non chiederemo più ai nostri di resistere e rimanere, se devono vivere in queste condizioni».Una parere condiviso da monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della Pastorale per i Migranti: la Santa Sede «si è impegnata e non cesserà di impegnarsi affinché i cristiani restino sulle loro terre», ma «il movimento emigratorio appare irreversibile». Disoccupazione, invecchiamento della popolazione nei Paesi di partenza, l’ingresso irregolare, il traffico di persone, la disgregazione delle famiglie, oltre alle violenze i maggiori problemi sociali che affliggono la minoranza. Anche se «l’attività caritativa delle comunità cristiane è una risposta immediata a tali sfide», secondo il presidente del dicastero vaticano, «è decisivo un impegno politico mondiale che affronti le cause ultime della migrazione, soprattutto povertà, violenza, persecuzione, ingiustizia, sottosviluppo e disoccupazione».Disperazione in Iraq, allarme rosso in Egitto. Le autorità hanno rafforzato le misure di sicurezza in tutto il Paese, incluse Beheira e Minya, le due città di provenienza delle due donne copte, al centro delle minacce del gruppo iracheno di al-Qaeda. In serata, al Cairo, il capo della Chiesa copto-ortodossa, Shenuda III, è stato accolto con un applauso da migliaia di fedeli per la Messa settimanale: i controlli imponenti adottati non hanno frenato la partecipazione. Intervistato poco prima dell’inizio della cerimonia, papa Shenuda ha affermato che quanto avvenuto in Iraq è «penoso e motivo di grande sofferenza». Quanto alle minacce contro la Chiesa in Egitto, Shenuda III si è limitato a dire: «Preghiamo Dio che tutto si calmi». In mattinata, anche i gruppi islamici egiziani più rappresentativi, come la Jamàa Islamiya e i Fratelli Musulmani, hanno preso le distanze dalle minacce lanciate da al-Qaeda: Secondo Najih Ibrahim, portavoce della Jamàa Islamiya, «gli attacchi alle chiese, l’uccisione di civili o il loro sequestro è vietato dalla sharia islamica». Per questo, ha aggiunto, «al-Qaeda non rappresenta l’Islam e mette in cattiva luce la religione». Luca Geronico
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