mercoledì 12 gennaio 2011
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Oggi Port-au-Prince si ferma a ricordare “le tremblement de terre”, il grande terremoto. Alle otto, il Presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, cardinale Robert Sarah, presiede la Santa Messa concelebrata dal Nunzio apostolico Bernardito Auza e da tutti i vescovi dell’isola tra le macerie della Cattedrale. Sarah lunedì ha visitato il presidente della Repubblica Préval e oggi incontra i dieci vescovi haitiani e le Ong. Sempre lunedì ha posto la prima pietra per tre scuole la parrocchia di Santa Maria degli angeli, finanziate dalla Carità del Papa. Ieri ha reso omaggio alla tomba dell’arcivescovo Miot, sepolto accanto alla missione degli Scalabriniani.In attesa che venga nominato il nuovo arcivescovo, questo è stato un anno di grande lavoro per il nunzio apostolico Bernardito Auza, punto di riferimento per chiunque cerchi di capire la complessa realtà sociale, politica e religiosa haitiana. La nunziatura ha acquistato il terreno sul quale sorgerà il nuovo seminario, che accoglierà mille studenti. Il progetto prevede, su richiesta della Conferenza episcopale, anche una parrocchia e mille case per gli sfollati. Quando arriverà la registrazione al catasto, verrà posata la prima pietra. Auza è preoccupato per l’instabilità delle istituzioni. Il risultato del primo turno delle presidenziali non viene ancora proclamato dopo un mese e mezzo per evitare che la violenza esploda per le strade.«Occorre che i candidati diano prova di realismo e buon senso, anziché curare solo i propri interessi. Le elezioni sono state organizzate dall’Organizzazione degli stati americani che si è fidata delle rassicurazioni  presidenziali, poi la situazione è degenerata. Alla fine è dovuta intervenire una commissione internazionale per rimediare ai brogli. Il problema è la mancanza di una classe politica adeguata». Il suo bilancio a un anno dal sisma non è positivo. «La gente è ancora nelle tende. Ad Haiti, la regola è che a flagello segue sempre nuovo flagello, la serenità è un’eccezione. A gennaio c’è stato il terremoto e a ottobre è scoppiata l’epidemia di colera, con la quale dovremo convivere per anni. E gli aiuti internazionali promessi dai governi arrivano con il contagocce».Il nunzio Auza non cela le riserve anche sui progetti presentati dal governo, a partire dall’istruzione. «Servono case, infrastrutture per ripartire. Qui l’80 per cento della popolazione è analfabeta e lo Stato possiede solo un decimo delle scuole, tutte malridotte. Secondo uno studio della Banca interamericana servirebbero quattro miliardi per cambiare il sistema. I progetti che sono stati presentati coprono solo i salari dei professori, non miglioreranno le strutture. Così non cambia nulla». E sul problema della rinascita haitiana afferma: «Manca il lavoro. Prima del sisma, due quinti del bilancio pubblico erano dipendenti dall’aiuto internazionale, il Paese ha un’agricoltura di sussistenza che impiega due terzi della popolazione e contribuisce al 28 per cento del Pil. L’economia è in mano a poche famiglie che stanno speculando anche sulla ricostruzione, bloccandola. Haiti importa tutto, ad esempio l’80 per cento del cibo e qui i prezzi sono più alti che negli Usa. I ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri immiseriscono e la  classe media sparisce. Insegnanti, infermieri, ingegneri vorrebbero ricostruirsi la casa, ma non possono sostenere il prezzo triplicato del cemento e stanno nelle baraccopoli». Riguardo alla polemica con le Ong, conclude: «Ogni giorno di questi 12 mesi la Chiesa cattolica ha investito in silenzio una cifra incalcolabile per far sopravvivere migliaia di persone. Nelle zone peggiori di Port-au-Prince lo facciamo da 20 o 30 anni. Avremo fatto anche degli errori, ma gli organismi internazionali funzionano secondo una logica, noi ne abbiamo un’altra. Facciamo progetti secondo i bisogni, poi chiediamo i fondi. Non l’opposto. Chi ci accusa di volerci sostituire allo Stato dovrebbe chiedersi cosa sarebbe successo ai poveri senza di noi».
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