mercoledì 24 aprile 2024
Partiti in anticipo i negoziati per definire quanto Seul debba sborsare per la presenza dei soldati statunitensi. Gli analisti: «Il tycoon, se rieletto, potrebbe far saltare il tavolo»
Un'esercitazione congiunta di forze sudcoreane e Usa in Corea del Sud

Un'esercitazione congiunta di forze sudcoreane e Usa in Corea del Sud - ANSA

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Fare in fretta. Ossia prima del (possibile?) ritorno in sella di Donald Trump. Insomma, prima di novembre quando dalle urne americane uscirà il nome del prossimo presidente Usa. Una sorta di missione impossibile dati i tempi risicati. Sono in corso i negoziati tra Corea del Sud e Stati Uniti sulla condivisione dei costi per la difesa. In soldoni quanto Seul deve sborsare – attraverso l'Accordo sulle misure speciali (Sma) che viene rinnovato ogni 5 anni – per contribuire alla presenza di 28.500 soldati statunitensi sul suo territorio. Negoziati anticipati, come scrive il Korea Times, proprio per neutralizzare il «fattore Trump». Perché da queste parti se c’è un incubo che funesta le notti dei sudcoreani è proprio quello del ritorno del tycoon e delle sue richieste (esose). Non si tratta di un qualcosa di marginale, anzi. Come scrive il sito di analisi The Diplomat, «nessun’altra questione tocca il cuore dell’alleanza tra Corea e Usa più della questione della presenza delle forze statunitensi nella Penisola».
Nell’undicesimo Sma, raggiunto nel marzo 2021 durante l’amministrazione Biden, le due parti hanno stabilito che la Corea avrebbe pagato 1,18 trilioni di won (1,03 miliardi di dollari), segnando un aumento del 13,9% rispetto al precedente accordo firmato nel 2019 – il terzo aumento annuale più grande per Seul dalla creazione del patto nel 1991.

I dubbi che aleggiano sui negoziati sono molti. A partire dalla tempistica troppo ristretta. Ma anche sulla tenuta di un eventuale accorso. Secondo Yang Uk, analista presso l'Asan Institute of Policy Studies interpellato dal quotidiano coreano, «negoziare con l'amministrazione Biden sarebbe probabilmente più facile che con quella guidata da Trump. Il governo dovrebbe però tenere presente che il repubblicano potrebbe facilmente ribaltare l'accordo». «Anche se le due parti riuscissero a firmare un accordo prima del previsto – ha spiegato a sua volta Cha Du-hyeogn, ricercatore senior presso l’Asan Institute of Policy Studies –, Trump, in caso di rielezione, potrebbe semplicemente annullarlo. Non è uno scenario inverosimile, data la sua passata tendenza a ignorare gli accordi già firmati con altre nazioni se li ritiene ingiusti nei confronti degli Stati Uniti».

Ma perché una possibile vittoria di Trump è vista come portatrice di “sventure”? A spingere Seul nella paura del «fattore Trump» è la storia stessa delle precedenti negoziazioni. Burrascose e segnate dal continuo gioco al rialzo del tycoon. Come quando Trump chiese alla Corea del Sud di aumentare il suo contributo del 400%, ovvero a 5 miliardi di dollari, incassando il no di Seul. Ma non solo. Lo scorso anno il candidato alla presidenza Usa ha ribadito che «Seul ci paga poco», lasciando intendere che potrebbe spingersi a ritirare le truppe in caso non venisse raggiunto un accordo “adeguato”.

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