sabato 11 settembre 2010
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Assume ormai i contorni di una stucchevole telenovela la vicenda del rogo del Corano, due volte annunciata e poi due volte smentita dal pastore battista della Florida Terry Jones. Una sceneggiata che vede Jones unico protagonista, accerchiato da un coro di condanne internazionali che forse mai neppure lui, leader di appena 50 seguaci della chiesa di Gainsville, si sarebbe aspettato.Condanne ieri sfociate, peraltro, in manifestazioni di piazza dall’Afghanistan al Pakistan, dalla Somalia a Gaza. Proprio in Afghanistan, durante una mobilitazione davanti ad una base Nato nel nord-est, un manifestante è rimasto ucciso da un colpo sparato dai militari. A Copenaghen, intanto, un uomo ha tentato di farsi esplodere nel bagno di un hotel, causando però solo una piccola deflagrazione e rimanendo ferito. L’uomo, forse cittadino del Lussemburgo, è stato poi arrestato. Potrebbe essere un caso, ma la Danimarca è da tempo nel mirino degli estremisti islamici per la vicenda delle vignette satiriche su Maometto. Nulla di strano, dunque, se la vicenda del Corano fosse all’origine anche di questo attentato fallito.Il mondo islamico, insomma, brucia. Mentre Jones, per la seconda volta in poche ore, ha annunciato ieri il suo ripensamento: nel nono anniversario delle stragi dell’11 settembre non vi sarà alcun rogo del Corano. O almeno così dovrebbe essere. In realtà, in serata, il pastore si è riservato l’ennesimo colpo di scena, lanciando un ultimatum all’imam di New York Feisal Abdel Rauf, che sovraintende alla costruzione della contestata moschea a Ground Zero. Entro due ore, era l’avvertimento di Jones, Rauf avrebbe dovuto decidere se tenere un colloquio con lui per negoziare la rinuncia alla costruzione del luogo di culto islamico. In caso di risposta negativa, restava valida la minaccia di bruciare copie del Corano come annunciato inizialmente. Ultimatum poi scaduto senza che l’imam alzasse la cornetta e ulteriore marcia indietro di Jones che ha fatto annunciare che oggi non brucerà alcun libro sacro. La minaccia, però resta valida.Ieri mattina, il protagonista di questo falò delle vanità diceva di aver cambiato idea grazie a un accordo raggiunto «con gli imam», i quali gli avrebbero garantito che la moschea non sarebbe stata costruita a Ground Zero. Peccato che l’intesa fosse stata smentita da Muhammad Musri, l’imam capo dell’Islamic Society della Florida, che giovedì, quando Jones minacciava di portare a termine i suoi incendiari propositi, si era proposto come mediatore. «Quest’offerta non è mai esistita». Musri aveva poi raccontato che si trovava con Jones quando era arrivata, giovedì sera, la telefonata del capo del Pentagono Robert Gates. «Penso sia stata quella telefonata a far cambiare idea a Jones», aveva spiegato. Poi, tornando alla disputa sull’accordo, Musri aveva detto di aver solo assicurato a Jones che avrebbe tentato di metterlo in contatto con l’imam di New York per un incontro.Versione, anche questa, che zoppica, visto che l’imam Rauf ha detto ieri di non aver mai ricevuto chiamate da Musri. Da parte sua Jones ha chiamato Rauf «bugiardo»: «Gli ho chiesto tre o quattro volte: "Se noi cancelliamo il nostro evento, la sua moschea di New York sarà spostata in un altro luogo, lontano da Ground Zero? E lui mi ha sempre detto di sì"». Poi, appunto, l’ultimatum, senza risposta, di ieri sera. E l’incognita su cosa accadrà oggi se Jones andrà avanti con il suo progetto.Nella vicenda, peraltro, si è inserito anche il miliardario Donald Trump. L’imprenditore sarebbe pronto a comprare per 6 milioni di dollari Cordoba House, la struttura a due isolati dal World Trade Center dove è in progetto la costruzione della moschea. Trump avrebbe lanciato l’offerta a condizione che la moschea sia costruita ad almeno cinque isolati di distanza da Ground Zero. Difficile sapere, per ora, se la mossa di Trump sia in grado di mettere la parola fine a una situazione dalla quale per ora, paradossalmente, a uscire vincitore è il solo Jones, passato dall’assoluto anonimato a eroe di quell’America che guarda all’islam come il fumo negli occhi. Eroe per tanti, peraltro, ma non per la figlia, che dalla Germania dice che il padre è «impazzito» e che ha «bisogno di aiuto».Il presidente Obama, il comandante in capo Obama per il quale bruciare il Corano equivale a «mettere in pericolo» i soldati americani in Iraq e in Afghanistan, sperava di celebrare in maniera meno burrascosa il nono anniversario dell’11 settembre. Dopo quelli dei giorni scorsi, ancora ieri numerosi altri messaggi contro l’iniziativa di Jones sono continuati ad arrivare a Washington. Nei Paesi islamici la protesta divampa. In Cisgiordania e a Gaza migliaia di palestinesi hanno scandito slogan e sventolato copie del Corano. In Pakistan, centinaia di manifestanti si sono riuniti a Multan, nel centro del Paese, dando fuoco a decine di bandiere americane. «Temiamo per le nostre chiese e i nostri fedeli – ha sottolineato all’Agenzia Fides il vescovo locale, monsignor Andrew Francis –. Preghiamo e speriamo che nessuno bruci il Corano, nell’anniversario dell’11 settembre».Per l’imam della Mecca, Saleh Ben Humaid, l’iniziativa di Jones è «un’incitazione al terrorismo», mentre secondo il presidente afghano Hamid Karzai il pastore americano non dovrebbe «nemmeno pensare» di bruciare il Corano. Per ora, pur pensandolo, non lo ha fatto. La speranza è che il gran finale della telenovela non preveda il contrario.
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