martedì 5 dicembre 2023
Ma il fronte dei Paesi produttori non si arrende. Record di 2.600 lobbysti legati all'industria petrolifera a Dubai. La società civile si mobilita per l'eliminazione degli idrocarburi
La protesta degli attivisti a Dubai

La protesta degli attivisti a Dubai - Reuters

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E' stata pubblicata con 24 ore di anticipo sulla tabella di marcia usuale di ogni Conferenza Onu sul clima (Cop28). La prima bozza sul bilancio globale - il cosiddetto "global stocktake" ovvero la fotografia di come i Paesi firmatari hanno o non hanno applicato gli accordi di Parigi e degli obiettivi per il prossimo decennio - è stata diffusa due giorni prima della "pausa" di metà summit di giovedì. E proprio nella giornata dedicata all'energia. A sottolineare che è questo - la transizione dalle fonti fossili - il punto nevralgico del vertice di Dubai.

Per quanto riguarda gli impegni per contenere le emissioni, il testo conferma i risultati preliminari di settembre: qualcosa è stato fatto ma non abbastanza. Con gli attuali piani di riduzione, la temperatura dovrebbe aumentare tra i 2,4 e i 2,8 gradi entro la fine del secolo, quasi il doppio rispetto alla soglia di equilibrio di 1,5 gradi. E qui viene il tasto dolente: che fare per correggere la rotta? Gli scienziati internazionali riuniti dell'Intergovernamental panel on climate change (Ipcc), massima autorità sulla crisi climaticia, nell'ultimo rapporto, considerano indispensabile l'eliminazione graduale degli idrocarburi. Del 100 per cento nel caso del carbone, del 60 e del 70 per cento rispettivamente per petrolio e gas entro il 2050. Alla Cop26 di Glasgow, per la prima volta, nel documento finale, si parlava esplicitamente di "riduzione graduale dei combustibili fossili". Stavolta, come ha ricordato il segretario generale Antonio Guterres, è urgente andare oltre.

L'articolo 35 della bozza raccoglie l'indicazione ma testimonia anche la difficoltà dei negoziati per trovare una via condivisa. Il punto C chiede senza mezzi termini "l'eliminazione giusta e ordinata delle fonti fossili". Questa - sostenuta da 106 nazioni, in primis gli Stati insulari - è solo, però, una delle tre opzioni possibili. La seconda formulazione impone di "accelerare gli sforzi" verso lo stop. E, infine, la terza sorvola proprio sulla questione. E' quanto vogliono i Paesi produttori, i quali si oppongono anche alla cancellazione dei sussidi all'industria degli idrocarburi, contenuta nel punto E'. L'Arabia Saudita ha detto chiaramente che non accetterà nessun obbligo di riduzione. India e Russia sono sulla stessa posizione, appoggiati dalle varie petro-potenze e, implicitamente dagli Usa, e da uno stuolo di 2.400 lobbysti, il record assoluto. Notizia quest'ultima che ha suscitato non poche polemiche anche perché la loro partecipazione è stata incoraggiata dal presidente del summit, Ahmet al-Jaber, amministratore delegato della compagnia petrolifera emitatina Adnoc. Come alternativa all'eliminazione, sostengono l'impiego di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio della CO2, la cui efficacia, però, è contestata dal mondo scientifico. Meno controversa, invece, la prima parte della norma, che propone la triplicazione delle fonti rinnovabili e il raddoppio dell'efficienza energetica entro il 2030.

Il cuore delle trattative che proseguiranno frenetiche restano i fossili. La società civile, presente in forze, è determinata a far sentire la propria voce per lo stop. Anche ieri gli attivisti, soprattutto i giovani, hanno manifestato al Centro espositivo con lo slogan. La loro mobilitazione era stata fondamentale l'anno scorso per approvare il fondo per compensare i Paesi poveri dei danni inflitti dal riscaldamento globale. Stavolta sono stati chiari: "Qualunque cosa che non sia l'eliminazione dei combustibili fossili, è solo greenwahing".



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