giovedì 30 agosto 2018
Si va verso la «fertilità indipendente». Con incentivi per invogliare i genitori e il nodo demografico finisce al centro del dibattito parlamentare. Nel 2017 le nascite sono scese del 3,5%.
La Cina adesso accelera: servono più figli
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La Cina fa un’altra mossa ufficiale verso una prole aperta se non totalmente libera con una modifica del Codice civile che potrebbe essere imminente. L’incontro in corso da lunedì del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale (il Parlamento della Repubblica popolare cinese) sta affrontando sei aree problematiche sotto la guida del presidente dell’Assemblea, Li Zhanshu. Una di queste è quella della famiglia e del matrimonio, anche se le notizie diffuse, incluse quelle dell’agenzia ufficiale Xinhua non segnalano espressamente un dibattito sulla questione demografica. Tuttavia, i risultati di questa assise saranno centrali nell’incontro plenario del Parlamento nel marzo 2020 e per allora il quadro dovrà essere chiaro. Anche per affrontare una situazione urgente, se non già di emergenza.
Al punto che i dati esposti in uno studio preso in esame a maggio dal Consiglio di Stato (il governo cinese) avevano dato consistenza a voci su iniziative concrete entro l’anno o inizio 2019. La proposte discusse dal Consiglio di Stato e coordinate con altre istituzioni dovranno sostituire le politiche di controllo delle nascite con una “fertilità indipendente” che permetterà alle famiglie di scegliere la prole con maggiore libertà ma non in totale autonomia. Secondo le indiscrezioni di mass media locali raccolte anche da Bloomberg, le autorità starebbero studiando incentivi finanziari per invogliare potenziali genitori e la Commissione nazionale per la Sanità avrebbe chiesto a esperti di vari settori di individuare le possibilità per ridurre la pressione fiscale e distribuire incentivi.
Nel 2017 le nascite sono scese del 3,5 per cento, con “soli” 17,2 milioni di nuovi nati ed è lo stesso Ufficio nazionale di Statistica a segnalare la preoccupazione dei potenziali genitori per i costi dei figli ma anche per l’abitudine a concentrare tutte le risorse disponibili sul maschio primogenito. Una proiezione del Consiglio di Stato lo scorso anno ha evidenziato che nel 2030 i cinesi ultrasessantenni saranno quasi un quarto del totale, quasi il doppio del 2010. Una società incanutita rischia di avere pesanti conseguenze sulle politiche di crescita volute dal presidente Xi Jinping, costringendo a moltiplicare e adeguare le pensioni e i costi dell’assistenza medica, limitando la popolazione attiva a disposizione delle aziende locali e straniere.
Il fattore demografico suscita dibattito e anche contese, tuttavia, se il Wall Street Journal avverte che «la Cina sta virando verso una bomba a orologeria demografica», non molti scommettono sul solo incremento della popolazione per sostenere le prospettive economiche.
Le avvisaglie degli ultimi anni segnalano con chiarezza che le famiglie non hanno più la prole tra le priorità. Non sono solo le volontà dei genitori, in coppia o single, a definire questa tendenza, ma una curiosa associazione di vecchie regole confuciane e nuove esigenze. Obiettivo di molte donne cinesi non è più la famiglia, ma la maternità, gestita in proprio e in età sempre più avanzata. Altre, già poco incentivate a un impiego fuori casa, si trovano a subire pressioni e ricatti per rinunciare alla gravidanza o al feto, oppure – nel caso decidessero per la nascita – al lavoro. Senza contare che una prole multipla viene scoraggiata da molte strutture pubbliche e private, ancor più nel caso delle femmine.
Dopo i decenni di incentivo ad avere un solo bambino, con l’annuncio della fine della “politica del figlio unico” nel 2015 la Repubblica popolare cinese è diventata così capofila delle demografia creativa per spingere i propri cittadini a una prolificità più generosa. Bizzarra e forse poco meditata la proposta di due studiosi che a metà agosto hanno avanzato l’idea di un “fondo per la procreazione”, ovvero di una cassa destinata a sussidiare le famiglie numerose con versamenti obbligatori a carico di lavoratori fino ai 40 anni che abbiano meno di due figli o addirittura nessuno. La proposta dei due ricercatori dell’Istituto per la ricerca economica industriale del fiume Yangtze ha provocato una levata di scudi sui social network a cui si è associato il giornale del Partito comunista della provincia di Jiangsu che ha definito l’idea «assurda».
Gli accademici hanno fatto dietrofront ma il problema resta e acuto. Così, in parallelo con la serie di provvedimenti di incentivo alle nascite, il Paese va orientandosi verso un futuro in cui la tecnica e la robotica avranno pure un ruolo sostitutivo nei confronti dell’uomo. Anche questo, tuttavia, potrebbe non bastare e non a caso da tempo Pechino investe ovunque nel mondo in progetti infrastrutturali, recupero di risorse e imprese a alto contenuto tecnologico che consentiranno una crescita sostenuta verso il primato mondiale, nel mirino cinese nel 2049.
La “politica del figlio unico” fu introdotta nel 1979 e per dati ufficiali ha avuto come risultato la mancata nascita di 400 milioni di cinesi. È del tutto aperto e lecito il dibattito se il risultato sia stato in linea con le aspettative oppure se – in particolare nell’ultimo decennio – si sia allineato al calo di popolazione di molti altri Paesi in via di sviluppo e che alla fine abbia mancato gli obiettivi prefissati. Non a caso, però, il rapporto di maggio che riguardava la piena liberalizzazione delle nascite è uscito in contemporanea con un articolo dell’agenzia ufficiale Xinhua che illuminava su come «la scarsità di cibo degli anni Settanta e Ottanta sia ormai relegata nella storia» e «quanto la Cina sia cambiata negli ultimi 40 anni».
Ancora una volta, la tensione tra controllo e necessità di aperture è palese. Con un problema aggiuntivo nel potere indiscusso di ispirazione comunista che chiede alla popolazione di consumare e riprodursi liberamente per il bene – costantemente sottolineato – della comunità, ma non di pensare e decidere in tutta libertà. Alimentando alla fine un individualismo che non risponde più a pressioni, costrizioni e spesso anche a incentivi e che alimenta l’illegalità riguardo l’interruzione della gravidanza, l’adozione e la procreazione assistita.
Sono gli stessi analisti cinesi a sottolineare l’urgenza che il governo indichi presto e con chiarezza le proprie intenzioni e le politiche di sostegno necessarie, sapendo che ogni iniziativa segnalerà anzitutto che il cambio di linea sul controllo demografico non è andato finora a buon fine. Semplicemente, avere un figlio oggi in Cina, è un lusso che non tutti possono affrontare. A confermarlo, secondo il professor Steve Tsang della School of Oriental and African Studies di Londra, i casi di Macau e di Hong Kong, dove non ci fu mai l’obbligo del figlio unico ma che hanno tra i più bassi tassi di crescita demografica. Tuttavia, al contrario delle due ex colonie europee, nella Repubblica popolare si è sempre preteso di congiungere dall’alto sviluppo e demografia.
Così «il vero impatto della politica demografica è ricaduto sui diritti di individui che erano poveri e non potevano pagare (per avere i figli desiderati), sottolinea Tsang. Come si connetterà tutto questo con la volontà del Partito comunista di gestire un Paese insieme vecchio e benestante, con una piena occupazione giovanile e qualificata? Ormai il gigante cinese non gioca più da solo in un mondo ostile, ma contemporaneamente le sue scelte non possono più ignorare le tendenze sociali e le aspettative dei cittadini. Questo lascia pensare che sul fronte demografico la partita per Pechino sarà dura, almeno quanto le sfide commerciali e strategiche.

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