sabato 19 dicembre 2009
Al summit firmato l'«accordo di Copenaghen» dopo che nella notte i piccoli avevano minacciato di boicottare l'intesa che Obama aveva strappato a Cina, India e Sudafrica. Ma è un accordo di facciata: non ci sono numeri sulla riduzione delle emissioni, solo sui finanziamenti.
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Chiude i battenti il summit di Copenaghen ma lascia l'amaro in bocca, tutti insoddisfatti tranne Cina e India, i Paesi maggiori inquinatori e meno disponibili a trattare. Lo stesso presidente americano Barack Obama, nei panni di grande mediatore, nel suo intervento ha ribadito ieri le proposte degli Usa al ribasso, «prendere o lasciare». L'accordo, un documento di tre pagine, fissa come obiettivo un tetto a due gradi del riscaldamento globale rispetto all'era pre-industriale. Vengono poi stanziati 30 miliardi di dollari dal 1010 al 2012 e 100 miliardi al 2020, destinati principalmente ai paesi più vulnerabili per sostenerli a contenere l'impatto dei cambiamenti climatici.Questa mattina, la Conferenza Onu sul clima ha comunicato di aver «preso nota» dell'intesa nella Conferenza finale cui hanno partecipato 193 paesi. Durissima la reazione degli ambientalisti, Greenpeace in primo luogo, a sottolineare che «spariscono gli impegni vincolanti e collettivi, al loro posto un elenco delle disponibilità di ogni singolo stato». «Non c'è un solo punto - ha detto il responsabile di Greenpeace, il francese Pascal Husting - in cui si parla di obbligatorietà degli accordi. Il protocollo di Kyoto era insufficiente, ma almeno era vincolante. Questo testo è la prova che gli egoismi nazionali prevalgono ed è anche la versione più debole tra quelle circolate».LE CRITICHE. Critiche severe giungono da tutto il mondo ambientalista, a cominciare da WWF e Legambiente che fino all'ultimno avevano sperato in un cambio di rotta. «L'accordo di oggi sancisce il trionfo delle parole sui fatti, dell'apparenza sulla sostanza»: per Oxfam International e Ucodep, i leader presenti al vertice di Copenaghen hanno trasformato un momento storico in un fallimento storico: le due organizzazioni chiedono che l'accordo non sia un punto di arrivo, ma solo la base di partenza dei colloqui sul clima nel 2010. «L'accordo proposto da Stati Uniti, India e Cina, ma giudicato da tutti insoddisfacente, non riesce a celare le differenze tra i paesi che hanno negoziato per due anni», dichiara Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International, «è un trionfo della retorica sulla sostanza. Riconosce il bisogno di mantenere il riscaldamento globale sotto i due gradi, ma non si impegna a farlo. Rimanda le decisioni sul taglio delle emissioni, indorando la pillola con la promessa di maggiori fondi».

 

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