lunedì 11 ottobre 2021
Mancano camionisti, manovali e la Gran Bretagna non esce dalla paralisi dei rifornimenti. Deserti gli uffici per l’impiego e i sussidi invogliano a non cercare lavori un tempo svolti da immigrati Ue
In fila, alla periferia Est di Londra, per la benzina

In fila, alla periferia Est di Londra, per la benzina - Ansa

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Martedì pomeriggio il centro per l’impego di York, antica cittadina dell’Inghilterra settentrionale, è deserto. I 12 impiegati attendono ciascuno al proprio sportello l’arrivo di qualche «cliente». L’unico in sala è un uomo sulla cinquantina che completa la procedura avviata online per incassare i sussidi con cui pagare l’affitto. Il pacchetto dei volantini posti all’ingresso di Monkgate Street per promuovere corsi gratuiti di guida per aspiranti camionisti è ancora intonso. L’addetto all’accoglienza lo apre per tirarne fuori uno: «Lo dia a qualcuno a cui può interessare – chiede – le nostre aziende sono disperate».
La “tempesta perfetta” scatenata da Brexit e, insieme, dalla pandemia ha costretto migliaia di manovali europei a lasciare il Regno Unito per tornare a casa, sul Continente, svuotando le imprese britanniche di forza lavoro a basso costo. L’urgenza più vistosa del momento riguarda la mancanza di autisti di mezzi pesanti senza cui non è possibile rifornire le stazioni di servizio di benzina e i supermercati di scorte alimentari. Alla guida delle autocisterne di carburante dirette a Londra e nel Kent, dove la crisi è più acuta, lunedì si sono dovuti mettere i 200 militari dell’operazione “Escalin”.
Il governo conservatore di Boris Johnson le sta provando tutte pur di trovare una soluzione all’emergenza. L’idea di concedere un visto temporaneo a 5mila autisti europei da assumere per sbloccare la situazione almeno fino a Natale non sta funzionando: all’iniziativa hanno aderito sino ad oggi appena 127 persone. Il premier, furibondo, accusa gli imprenditori del settore di non aver reclutato e formato per tempo gli addetti che avrebbero dovuto prendere il posto dei polacchi o dei rumeni che, come previsto, avrebbero con Brexit lasciato il Paese. È tempo, ha tuonato, di abbandonare un sistema «troppo a lungo basato sulla manodopera a basso costo di migranti poco qualificati». Il disastro, ci si chiede, poteva essere davvero evitato senza sacrificare la riuscita della separazione di Londra da Bruxelles? Possibile che non ci siano cittadini britannici interessati a un impiego come cameriere, carpentiere, macellaio, bracciante agricolo o, appunto, come camionista?
Il Regno Unito non è il Paese dei balocchi. Benché al di sotto della media europea, disoccupazione e inoccupazione ci sono: nel 2019, prima della pandemia, questi indicatori erano rispettivamente del 3,8% (7,4% nella zona euro) e del 20,5% (26% nella zona euro). Braccia lavoro, insomma, in teoria non mancano. Il problema, su cui grava anche la produttività compressa dalla cautela con cui le aziende hanno negli ultimi anni investito in innovazione, ricerca e sviluppo, potrebbe infatti essere un altro. Un recente rapporto del ministero del Lavoro britannico ha sottolineato che il sistema dei sussidi concessi attraverso l’Universal Credit, introdotto con la riforma del Welfare del 2013 ma con radici che risalgono alle politiche di sostegno al reddito del secondo Dopoguerra, ha disincentivato la partecipazione dei cittadini al mondo del lavoro «intrappolandone il potenziale produttivo». È stato infatti calcolato che con la paga minima fissata a 8,91 sterline all’ora, limite che Johnson ha promesso nei giorni scorsi di portare a 9,42, il guadagno percepito con un’eventuale assunzione è solo 3,29 sterline più alto dell’assegno che si potrebbe percepire dallo Stato rimanendo a casa. Il tema non è nuovo. Per anni, invano, il Paese si è interrogato sugli effetti – reali per alcuni, presunti per altri – della “pretesa” del sussidio, per usare un’espressione dell’Institute for Fiscal Studies, sulla sicurezza sociale e sul mercato del lavoro. Nel 2014, il nodo ha ispirato persino una serie televisiva prodotta da Channel 4 chiamata «Benefit Street».
Tony e Marcus, 40enni, autisti-facchini della Henry Colbeck, azienda che dal 1893 rifornisce i ristoranti inglesi di fish&chips, conoscono tanta gente che campa di benefit più che di lavoro. «Come dargli torto – argomentano – se l’alternativa al sussidio è un impiego rognoso e faticoso come il nostro». Il camion refrigerato che devono scaricare in fretta è parcheggiato in doppia fila, ad Acomb, lungo la trafficata York Road. «Per fortuna – scherzano – ci hanno aumentato lo stipendio». La crisi del settore logistico, raccontano, ha fatto di recente lievitare la loro paga da 29mila e 34mila sterline all’anno, l’equivalente dello stipendio medio di un ricercatore universitario. In alcuni casi il compenso può arrivare fino a 50mila. Le aziende si contendono i pochi guidatori presenti sul mercato, spesso anche i più esperti, offrendo «bonus di benvenuto» da 2mila sterline a chi decide di passare da una società all’altra.
Helen Foster, consulente nel settore delle risorse umane, ritiene che i britannici abbiano tra l’altro «un’etica del lavoro molto diversa rispetto a quella degli europei». È difficile – spiega – «che l’occupazione venga considerata importante anche per la socialità, le relazioni, il benessere mentale. Molti britannici, soprattutto non istruiti, tendono ad accontentarsi degli aiuti, a fuggire alla sfida del rimettersi in gioco, per esempio, dopo una lunga malattia, preferendo piuttosto rimanere a casa a guardare la tv e a mangiare cibo spazzatura. Condizione che spesso li spinge poi verso l’obesità e la depressione».
«Venti anni fa – ricorda – mi sono trovata a gestire una crisi di manodopera, simile a quella di oggi, che aveva paralizzato diverse attività del Yorkshire. Contattai allora un’agenzia in Polonia che nel giro di pochi giorni ci mandò 80 persone a cui offrimmo paga, alloggio e una bicicletta per raggiungere il posto di lavoro». È il modello che ha funzionato fino alla Brexit. Quello del futuro è tutto da inventare. Intanto Royal Mail, azienda di servizi postali, sperimenta la consegna di pacchi e lettere con i droni; nuovi sistemi di automazione vengono testati nelle campagne del Kent per la raccolta e l’impacchettamento delle mele. La robotica e l’accesso “controllato” all’istruzione universitaria sono alcune delle leve su cui il governo pare intenzionato a costruire la forza lavoro di una nuova era.

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