lunedì 26 ottobre 2009
Tre giovani ricercatori perfezionano un integratore in grado di combattere la denutrizione infantile.
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«In Burundi, non si usa dire buongiorno. Per salutare, le persone ci dicevano amahoro che vuol dire pace. Per gli abitanti di questo Stato africano in cui la guerra non finisce mai, la pace è la cosa più preziosa», racconta Daniele. Lui in Burundi ci ha trascorso l’estate insieme con ex due compagni di università: Alice e Porfait, un burundiano che ha studiato in Italia. Con loro c’era anche l’insegnante Milena Lambri. I quattro non sono andati lì in vacanza. Il Paese è poverissimo, non è, dunque, il luogo più adatto per fare turismo. Daniele e gli altri, invece, hanno dato il loro contributo per far crescere un piccolo impianto di lavorazione dell’olio di avocado. Quest’ultimo è un frutto tropicale da cui si ricava un olio molto nutriente. Per chi non ha niente da mangiare, può rappresentare un importante integratore alimentare, un aiuto importante per tenersi in forze. Soprattutto per i bambini burundiani che sono denutriti. La maggior parte della popolazione assume pochi grassi e soffre di una malattia chiamata diabete. Per questo, nel 2003, un pensionato italiano, Renato Iametti, trasferitosi a Murai, a due ore dalla capitale del Burundi, ha avuto l’idea di fabbricare e distribuire ai piccoli l’olio di avocado. Con l’aiuto dell’Università Cattolica, ha comprato le attrezzature. La gente del posto, però, le usava male e il liquido imbottigliato era scadente. Di nuovo, la Cattolica è venuta in soccorso del progetto di Renato e ha inviato un gruppo di nuovi laureati in Scienze della sicurezza alimentare e una docente, con il compito di spiegare agli operai come realizzare un buon olio. Daniele, in particolare, aveva l’incarico di insegnare loro a rispettare le norme igieniche, cioè la pulizia: lavarsi le mani prima di toccare gli avocado, controllare i recipienti, non far cadere insetti o polvere.«All’inizio non è stato facile – dice Daniele – perché i lavoranti vivevano in baracche senz’acqua. Non erano abituati a lavarsi in continuazione le mani». Poi, però, i burundiani hanno imparato. L’olio di avocado di Murai ha superato le prime prove per ottenere la certificazione biologica. Una sorta di patente che ne attesta la buona qualità. Così potrà essere venduto anche in Europa. E il ricavato aiuterà la gente di Murai ad andare avanti.Una guerra mai finita. Il Burundi è tra i Paesi più poveri dell’Africa. La gente vive con meno di quattro dollari al giorno. E la maggior parte non arriva oltre i cinquant’anni. Colpa della guerra iniziata quindici anni fa. E non completamente finita. Il motivo è la rivalità tra i due diversi gruppi di popolazione che abitano la nazione: gli hutu, che sono la maggioranza, e i tutsi si combattono fin da quando il Burundi si è liberato dai dominatori europei, nel 1961. La guerra vera e propria è cominciata nel 1994, quando fu ucciso il primo presidente hutu eletto dal popolo. Del delitto furono incolpati i tutsi. Le violenze esplosero feroci, uccidendo 300 mila persone. Dal 2001, è in corso il processo di pace ma è una strada lenta. Spostarsi nel Paese da soli è pericoloso, le organizzazioni internazionali sconsigliano le vacanze in Burundi. Eppure i progetti come quello di Renato, pur a fatica, proseguono.
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