sabato 26 marzo 2016
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Era previsto da tempo. Ma il governo Michel l’ha voluto ribadire ieri: «I nostri F 16 torneranno a bombardare Daesh in Iraq ». Per la Siria si vedrà. I caccia-bombardieri partiranno quasi sicuramente dalle basi giordane, come solevano fare fino a luglio scorso. Che cosa c’è da aspettarsi? A livello di coalizione nulla. Perché arriveranno i belgi e partiranno gli olandesi. Sei F-16 c’erano e tali resteranno. I soldi scarseggiano e la componente aerea belga ha le ali tarpate, più o meno come le forze di polizia e d’intelligence. Può spedire oltremare due contingenti di 6 caccia. Non oltre. Perché il declino è inarrestabile. Un tempo aveva 160 apparecchi. Oggi non ne conta più di 56. Nel 2030, sarà davvero poca cosa, con appena 34 velivoli. Il Paese è piccolo ma molto diviso. La classe politica è litigiosa, le comunità sono frammentate e la cultura strategica deficitaria. Il potere è polverizzato. Tra non molto dovrà decidere il nuovo modello dopo gli F-16, ormai a fine carriera. Nella faccenda si stanno riproponendo le fratture interne. Molto influente, la comunità fiamminga del ministero della Difesa, sta manovrando i suoi deputati. Ha già messo il veto a un nuovo aereo prodotto da un industriale francofono. Vorrebbe l’F-35. E arringa: «Tutti i Paesi che ospitano le armi nucleari tattiche Nato/Usa hanno optato per il velivolo di Lockheed-Martin». Un dibattito stridente di fronte ai problemi di sicurezza interna. Quando è scattata la prima allerta 4 nella regione di Bruxelles era novembre. Subito dopo il Bataclan. Il governo belga aveva già mobilitato i militari, perché le forze di polizia, da sole, non bastavano. Si è sfiorato il ridicolo. Dopo anni di tagli di bilancio, le forze armate erano e sono all’osso. Per far fronte all’urgenza hanno dovuto prendere in prestito dagli americani perfino i giubbini antiproiettile. Forse è il caso di rifletterci. La cultura manageriale trasposta alle forze di sicurezza sta facendo solo disastri. Non solo in Belgio. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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