sabato 25 gennaio 2020
Un fiume di tredici milioni di tonnellate di rifiuti ferrosi si riversò su sulla città, nello Stato di Minas Gerais. E ingoiò 272 vite umane
«Giustizia dopo il dolore» per la diga di Brumadinho. Messaggio del Papa

Brumadinho non dimentica. Trecentosessantacinque giorni dopo il dolore della comunità mutilata è vivo e presente, come hanno dimostrato le lacrime durante la processione organizzata dall’arcidiocesi. Una sofferenza a cui si è unito anche papa Francesco con un toccante video-messaggio. «Offriamo solidarietà alle famiglie delle vittime, sostegno all’arcidiocesi e ha tutti coloro che soffrono», ha detto il Pontefice che ha pregato Dio «affinché ci aiuti a riparare e a proteggere la nostra casa comune». È trascorso un anno da quando un fiume di tredici milioni di tonnellate di rifiuti ferrosi s’è riversato su Brumadinho, nello Stato di Minas Gerais.

E ha ingoiato 272 vite umane. Insieme alla promessa dell’ex amministratore della multinazionale mineraria Vale, Fabio Schvartsman, che «mai più» ci sarebbe stata un’altra Mariana. Città quest’ultima, ancora nel Minas Gerais, devastata nel 2015 dal crollo di un deposito di scorie sempre del colosso Vale, attraverso la ditta da questa controllata Sammarco, in comproprietà con l’australiana Bhp Billiton. A cinque anni di distanza dal disastro – in cui morirono 19 persone –, non è stato ancora indicato alcun responsabile. Nel caso di Brumadinho la giustizia ha fatto un primo passo. Martedì, la Procura ha presentato una denuncia formale nei confronti di Vale e Tüv Süd, impresa tedesca che, sei mesi prima del dramma, aveva certificato il buono stato dell’invaso incriminato.

Oltre a Schvartsman – sostituito su richiesta delle autorità – quindici al vertice del maggior produttore mondiale di ferro – con un business da 32,5 miliardi e 55mila dipendenti – sono stati accusati di omicidio e devastazione ambientale, delitti per cui rischiano tra i 12 e i 30 anni di prigione. Secondo i pm incaricati delle indagini, Vale sarebbe stata a conoscenza del precario stato dell’invaso di Brumadinho fin dal novembre 2017. E avrebbe ignorato l’allarme, con la complicità di Tüv Süd. Affermazioni di fronte alle quali il colosso s’è definito «perplesso», mentre la società tedesca ha ribadito la propria «piena collaborazione» con le autorità per chiarire le cause della tragedia.

Ora toccherà al giudice decidere se l’inchiesta della Procura ha fondamento sufficiente per processare i sedici manager ed esperti indicati. «Chiediamo giustizia e non ci stancheremo di farlo», dice Marcela Rodrigues, figlia di Marcelo, tecnico di Vale per 17 anni, morto quell’indimenticabile 25 gennaio, nel più drammatico incidente sul lavoro del Gigante del Sud.

«Era un venerdì, poco dopo mezzogiorno. I dipendenti stavano mangiando nella mensa», prosegue Marcela. Inclusa la persona incaricata di suonare l’allarme. Che, per questo, è rimasto muto, mentre il gigantesco cumulo di rifiuti seppelliva la città. «Non è stato un incidente. Ma il risultato di continue violazioni dei diritti delle comunità, “sacrificate” sull’altare di un modello economico predatorio – afferma Carolina de Moura Campos, dell’Associazione Jangada impegnata contro gli abusi delle imprese minerarie –. Dobbiamo avere il coraggio di dire no».




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