lunedì 31 ottobre 2022
L'ex sindacalista ha battuto per un soffio il suo avversario Jair Bolsonaro e sarà presidente del Brasile per la terza volta. Ma il Paese esce dalle urne spaccato
Lula tra i sostenitori dopo la vittoria elettorale

Lula tra i sostenitori dopo la vittoria elettorale - Ansa

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"Hanno cercato di seppellirmi, ma sono qui". Con queste parole, pronunciate in un hotel di San Paolo dove ha seguito in diretta il conteggio, Luis Inacio Lula da Silva ha commentato, domenica notte, l'annuncio della propria vittoria al ballottaggio. Anzi, del "triplete", come l'ha definito la folla dei suoi sostenitori che l'hanno accolto con caroselli di auto, lacrime e fuochi artificiali: l'ex operaio e sindacalista sarà presidente per la terza volta. Si insedierà a Planalto il prossimo primo gennaio a trent'anni esatti dalla prima entrata, trionfale, del 2003.

Fino all'ultimo, però, il risultato è stato in bilico. Fino a oltre la metà dello spoglio, lo sfidante, il leader dell'ultradestra Jair Bolsonaro, lo superava di poco meno di un punto. Poi, il sorpasso, avvenuto a circa il 60 per cento delle schede scrutinate. Alla fine, Lula ce l'ha fatta per poco meno di due punti: mai in Brasile un leader ha ricevuto tanti voti - sessanta milioni - e mai la differenza con l'avversario è stata tanto ridotta, appena due milioni di preferenze. Ma c'è un altro dato inedito delle elezioni più polarizzate dalla fine della dittatura: per la prima volta, un capo di Stato uscente non è stato riconfermato.

Nei due mesi spesi a convincere i brasiliani battendo le piazze del colosso sudamericano da nord a sud, l'ex operaio diventato presidente non ha perso occasione per chiedere di far prevalere un modello progressista per il Paese, per riportarlo nell'orbita delle relazioni internazionali ("ora è più isolato di Cuba"), per riaccendere l'attenzione sugli indigenti ("33 milioni soffrono la fame"), per arrestare lo sterminio degli indigeni e lo smantellamento delle foreste dell'Amazzonia.

Una rivincita per Lula, dopo dodici anni di assenza, quando l'inchiesta Lava Jato, la mani pulite brasiliana lo travolse facendolo finire in carcere per venti mesi. La battaglia più difficile viene però ora. Il bolsonarismo ha ormai raggiunto i gangli della società, ma i due mesi di transizione da qui ad allora non si annunciano facili. Visto il margine ristretto, il rischio e il timore di molti è che il presidente uscente possa contestare il risultato elettorale, o comunque gettare benzina sul fuoco, incendiando le piazze, in una riedizione di quanto già visto con Donald Trump e la folla che invase Capitol Hill a Washington. D'altra parte non sarebbe la prima volta che nel gigante sudamericano i risultati elettorali vengono messi in discussione. Accadde anche a Dilma Roussef, compagna dipartito di Lula, nell'ottobre 2014, quando il suo avversario, il conservatore Aecio Neves (Psdb) contestò la sua vittoria al secondo turno, allungando il sospetto di frodi e manipolazioni.

L'ex capitano dell'Esercito nei due mesi di campagna elettorale si è scagliato senza tregua contro il Tribunale superiore elettorale e la sua guida, il giudice Alexandre de Moraes, mettendo in dubbio la trasparenza e la legittimità dell'organismo democratico. Ma non finisce qui. Nel periodo di transizione il presidente uscente potrebbe varare misure provvisorie ad effetto immediato (con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale), per allentare ad esempio la liberalizzazione della vendita delle armi, accrescendo così il rischio di violenza politica.

Tutte preoccupazioni che comunque non hanno intaccato i festeggiamenti dei sostenitori, per quella che il New York Times e gli osservatori politici definiscono una vittoria per l'Amazzonia depredata, per i popoli indigeni umiliati, per le fasce più povere, e per tutti quelli che nei quattro anni del governo Bolsonaro non si sono mai identificati col suo progetto basato su Dio, patria e famiglia. E subito si sono congratulati i leader dell'America Latina, dal colombiano Gustavo Petro all'argentino Alberto Fernandez così come hanno salutato con gioia il ritorno di Lula il francese Emmanuel Macron e lo spagnolo Pedro Sanchez. "Lavoreremo insieme per continuare al cooperazione fra i nostri due paesi nei mesi e negli anni a venire", ha affermato il presidente Usa Joe Biden.

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