sabato 22 gennaio 2011
L’ex premier di nuovo davanti alla commissione d’inchiesta: «La guerra fu la cosa giusta da fare, adesso il pericolo è l’Iran». Per la prima volta il leader laburista ha mostrato dolore per le vittime, ma l’ammissione non ha commosso le famiglie dei caduti: «Troppo tardi». Nelle quattro ore di interrogatorio ribadite le posizioni di un anno fa: il memorandum del 2003 del procuratore Goldsmith sulla illegittimità dell’azione non era un parere formale.
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«Ho profondi rimpianti per le morti in Iraq», ha ammesso ieri per la prima volta l’ex premier britannico Tony Blair di fronte all’Iraq Inquiry, la commissione d’inchiesta guidata da sir John Chilcot, che da due anni indaga sulle ragioni che hanno spinto l’ex leader a dichiarare guerra all’Iraq nel 2003 a fianco degli Stati Uniti ma contro il parere della maggioranza della popolazione britannica e di alcuni membri del suo stesso esecutivo. Per la seconda volta in un anno, l’ex premier laburista è stato chiamato a testimoniare davanti alla commissione d’inchiesta sull’Iraq facendo una difficile precisazione: «Quando ho detto – ha dichiarato riferendosi alla sua prima udienza del 29 gennaio 2010 – di non avere rimpianti riguardo la decisione di intervenire in Iraq non volevo dire di non avere rimpianti riguardo la perdita di vite umane». Ma il “mea culpa” non ha provocato alcun moto di simpatia nel pubblico presente all’udienza, tra cui i membri di famiglie di soldati caduti durante il conflitto. «È troppo tardi», ha gridato per tutti una voce femminile. Blair ha fatto marcia indietro anche riguardo un paragone fatto un anno fa tra Saddam Hussein e Adolf Hitler: «Non volevo suggerire che Saddam fosse Hitler», ha dichiarato. L’Iran. Nella seduta, durata quattro ore, l’ex premier ha ripetutamente fatto cenno alla «minaccia» rappresentata dall’Iran.  Alla domanda di sir Chilcot se l’intervento in Iraq non abbia reso la situazione peggiore e spinto altri Paesi a sviluppare armi nucleari, Blair, che oggi fa l’inviato delle Nazioni Unite nel Medio Oriente, ha risposto: «Non credo proprio». «L’Iran – ha proseguito – ci pone di fronte a sfide incombenti. Conosco bene il Medio Oriente, ci vado spesso, e spesso noto l’impatto e l’influenza dell’Iran ovunque. È un’influenza negativa, destabilizzante e che nutre i gruppi terroristici».La nota a Bush. Le prime due ore dell’udienza si sono concentrate, come prevedibile, sulle ragioni che spinsero l’ex premier a dichiarare guerra all’Iraq. In particolare Blair è stato messo sulla graticola da Chilcot per una nota che scrisse al presidente americano George W Bush otto mesi prima dell’inizio del conflitto in cui aveva scritto: «Puoi contare su di noi». Blair ieri ha detto quello che molti hanno sempre sostenuto nei suoi confronti, ovvero di aver assicurato il suo «forte impegno» a fare ciò che era necessario «per disarmare Saddam», a prescindere dalle preoccupazioni legali. La nota, che è stata vista dai membri della commissione, rimarrà però segreta nonostante sir Chilcot ne abbia chiesto ripetutamente la pubblicazione. Blair ieri ne ha così sintetizzato il contenuto: «Saremo al tuo fianco in questo e non ci ritireremo quando la situazione diventerà difficile. Ma ci sono difficoltà e la strada delle Nazioni Unite è quella da intraprendere».La legalità della guerra. Blair ha inoltre ammesso di non aver tenuto conto del parere dell’allora procuratore generale, lord Goldsmith, sulla legalità del conflitto in quanto si trattava di un parere «provvisorio». Il 14 gennaio 2003, Goldsmith inviò a Blair un parere legale in sei pagine secondo il quale la risoluzione 1441 dell’Onu che certificava le violazioni dell’Iraq ai suoi obblighi di disarmo non era sufficiente per scatenare la guerra. In un memorandum presentato a sir Chilcot, Blair ha ieri spiegato che in quel preciso momento «non eravamo allo stadio di una richiesta formale di parere». «Per questo – ha proseguito – ho continuato a mantenere la posizione che un’altra risoluzione non era necessaria». Blair era convinto, ha continuato, che Goldsmith avrebbe «cambiato idea una volta venuto a conoscenza dei dettagli dei negoziati condotti da britannici e americani». A quel punto, ha concluso, «avrebbe capito che la risoluzione 1441 voleva proprio dire che se Saddam Hussein avesse violato le richieste internazionali ciò avrebbe riportato in vigore precedenti risoluzioni sull’autorizzazione della forza». A testa alta. A parte il rimorso espresso nei confronti delle vittime, Blair non è apparso assolutamente scalfito da questa nuova udienza. Ha ripetuto che il conflitto e la rimozione di Saddam Hussein erano per lui «la cosa giusta da fare». Non ha contraddetto precedenti dichiarazioni, non ha fatto gaffe, non si è mostrato commosso. Ha ribadito che, anche se le armi di distruzioni di massa non sono mai venute alla luce anche dopo il conflitto, non potrà mai rammaricarsi di aver contribuito ad abbattere «un leader brutale» e aver dato un «futuro migliore agli iracheni».
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