sabato 2 marzo 2024
Fermata dal veto Usa la dichiarazione che condannava l'esercito «per aver fatto fuoco» sulla folla che assaltava camion di aiuti alimentari. Hamas: morti almeno una settantina di ostaggi
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A credere in una tregua imminente per Gaza sembra essere rimasto solo il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, che ha detto di sperare di arrivare alla cessazione delle ostilità e allo scambio fra ostaggi e detenuti anche se «tutti riconoscono che abbiamo un tempo limitato per riuscirci prima del Ramadan», che comincerà il 10 marzo. Hamas avrebbe congelato le comunicazioni con i negoziatori, rivela il Wall Street Journal, e minacciato di ritirarsi dai colloqui. La delegazione israeliana tornerà al Cairo, ma l’unico passo nuovo è la consegna di una lista di “non scarcerabili”.

All’indomani della strage dei civili affamati a Gaza City (104 morti e 760 feriti, per Hamas), sulla quale la comunità internazionale invoca con urgenza un’indagine indipendente, diventa più difficile parlare di accordo. Anche se le pressioni sullo Stato ebraico si intensificano. Come scrive il sito d’informazione israeliano N12, il fatto che centinaia di persone siano state travolte o investite mentre assaltavano automezzi carichi di cibo evidenzia un’assenza di amministrazione civile che «può porre Israele in una posizione difficile in termini di legittimazione a proseguire le ostilità». I camion saccheggiati giovedì alle 4 a un posto di blocco sulla rotonda Nabulsi di Rashid Street a Gaza City, in quella terra di nessuno che è il nord della Striscia, erano guidati da contractor privati. Sarebbero stati gli autisti, presi dal panico per l’assalto o per le raffiche sparate in aria dai carri armati, ad accelerare e travolgere la folla o spingere i fuggitivi a calpestare gli altri. Le immagini mostrano carretti carichi di corpi, in assenza di ambulanze.

Riunitosi d’urgenza, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu è stato paralizzato ancora una volta dal veto statunitense. Non è passata, anche se aveva 14 voti su 15, una dichiarazione che esprimeva «profonda preoccupazione» e condannava le forze israeliane per avere «aperto il fuoco». Il viceambasciatore Usa Robert Wood ha chiesto un testo che rifletta «il giusto controllo riguardo alle responsabilità». In serata il presidente Joe Biden ha annunciato che gli Usa paracaduteranno gli aiuti sull’enclave per evitare il ripetersi di simili incidenti.

In un primo momento l’esercito aveva ammesso di avere sparato alle gambe uccidendo dieci palestinesi, poi si era corretto affermando che erano solo colpi in aria e che la strage era dovuta alla concitazione.

«Non si può lasciare a Israele la protezione dei palestinesi in termini di cibo e sicurezza» protesta Chris Gunness, ex portavoce dell’agenzia Onu per i profughi palestinesi, rivendicando per l’Unrwa quel ruolo che Tel Aviv le nega accusandola di vicinanza ad Hamas. La Commissione Europea ha annunciato che procederà al pagamento di 50 milioni di euro all’Unrwa e che quest’anno aumenterà di 68 milioni il sostegno di emergenza.

Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si dichiara «sconvolto e disgustato». «Il diritto internazionale – scrive su X – non ammette doppi standard. Dovrebbe essere avviata immediatamente un’indagine indipendente. È urgentemente necessario un cessate il fuoco per consentire gli aiuti umanitari forniti da agenzie specializzate adeguatamente finanziate come l’Unrwa». Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «Siamo angosciati, preoccupati e condanniamo ogni atto di violenza contro la popolazione civile sia israeliana che palestinese. Con grande fermezza chiediamo la liberazione degli ostaggi e che cessi il massacro della popolazione palestinese. Siamo favorevoli a un cessate il fuoco che permetta di portare aiuti umanitari in quantità tali da non provocare più ciò che è accaduto. Abbiamo chiesto a Israele di fare un’inchiesta rigorosa e di accertare le responsabilità».

La strage dei civili fa salire ulteriormente la tensione in vista del Ramadan. Che si temano azioni estremiste lo conferma il fatto che il capo di stato maggiore israeliano, Herzi Halevi, ha convocato i responsabili militari della Cisgiordania. E il comandante militare della Cisgiordania, Yehuda Fuchs, ha detto che «occorre tenersi pronti ad ogni tipo di escalation».

Nella Striscia si combatte al nord, nel campo profughi Shati e nel quartiere Zeitun di Gaza City, e si stanno concludendo le operazioni militari a Khan Yunis dove l’esercito avrebbe «smantellato le strutture» di Hamas e starebbe «completando l’opera» nei vicini quartieri di Amal e Abassan. Negli ultimi dieci giorni sarebbero stati uccisi «450 terroristi». Il portavoce militare Daniel Hagari afferma che dall’inizio della guerra ne sono stati «eliminati» oltre 13mila. Il bilancio complessivo dei morti palestinesi sarebbe di 30.228, con 71.377 feriti, secondo il ministero di Hamas. Il gruppo ha comunicato anche il decesso di altri sette dei 134 ostaggi, aggiungendo che gli uccisi potrebbero essere una settantina. Finora il dato israeliano era di 33. «Il prezzo che esigeremo per cinque o dieci prigionieri vivi – avvisa Hamas – è lo stesso che avremmo chiesto in cambio di tutti».

La marcia dei familiari dei rapiti e di un migliaio di attivisti, partita quattro giorni fa dai kibbutz del massacro del 7 ottobre, è attesa stasera a Gerusalemme. Con loro c’è Benny Gantz, il leader dell’opposizione entrato nel gabinetto di guerra che i sondaggi danno come prossimo premier: «Li riporteremo tutti a casa il più rapidamente possibile» promette. Un’altra manifestazione si è tenuta davanti all’ambasciata americana a Tel Aviv, motivata dal fatto che «il governo degli Stati Uniti mostra maggiore dedizione alla questione degli ostaggi rispetto al governo israeliano».

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