giovedì 21 settembre 2023
Il premier Netanyahu spinge per un successo utile. Biden lo incoraggia. I palestinesi ci pensano. E il regime di Teheran, sempre più isolato, rema contro
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Joe Biden durante l'incontro di mercoledì a margine della 78esima Assemblea Generale dell'Onu

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente americano Joe Biden durante l'incontro di mercoledì a margine della 78esima Assemblea Generale dell'Onu - Reuters

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Mercoledì il premier israeliano Benjamin Netanyahu, incontrando a New York il presidente americano Joe Biden a margine della 78esima Assemblea generale dell’Onu, ha portato al centro della discussione l’unico tema su cui può ancora giocare mosse importanti: gli Accordi di Abramo, ossia le intese di normalizzazione delle relazioni tra Israele e i Paesi della regione avviate sotto la spinta dell’Amministrazione americana, allora guidata dall’ex presidente Donald Trump.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex presidente americano Donald Trump con  ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al Zayani (primo a sinistra) e il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan (ultimo a destra) durante la cerimonia alla Casa Bianca per la firma degli Accordi di Abramo, il 15 settembre 2020

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu e l'ex presidente americano Donald Trump con ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al Zayani (primo a sinistra) e il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan (ultimo a destra) durante la cerimonia alla Casa Bianca per la firma degli Accordi di Abramo, il 15 settembre 2020 - Archivio

Il primo pezzo di quel puzzle fu firmato il 15 settembre del 2020 alla Casa Bianca da Netanyahu e Trump con il ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti Abdullah bin Zayed Al Nahyan e il ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al Zayani. Seguirono poi altri importanti accordi con il Marocco e il Sudan: passi che, insieme alle intese raggiunte con l’Egitto nel 1979 e con la Giordania del 1994, segnano il cammino verso una pacifica convivenza tra Israele e i Paesi arabi. E anche un solido argine contro le ambizione regionali dell’Iran e dei suoi accoliti sciiti (tra cui Hezbollah e Hamas).

​Netanyahu e Biden: interessi coincidenti

L’Arabia Saudita è forse il tassello più importante dell’intero quadro, e la normalizzazione dei rapporti con Israele potrebbe rappresentate una svolta pragmatica verso un nuovo assetto geopolitico basato su rapporti costruttivi e di lunga prospettiva. Netanyahu, in grande difficoltà sul fronte interno per la riforma giudiziaria – voluta dal suo governo ma giudicata un pericolo per l’assetto democratico di Israele in quanto rafforza il controllo operato dall’esecutivo sulla magistratura -, sta impegnando molte risorse per cercare un successo (almeno) su questo fronte: qualcosa che potrebbe (forse) ammorbidire gli sguardi severi con cui viene seguita la sua azione politica in Israele e all’estero (lo stesso Biden ha più volte richiamato il premier al rispetto dei valori condivisi). «Penso che sotto la sua guida - ha detto l’altra sera il capo dello Stato ebraico a Biden - possiamo forgiare una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. E penso che una tale pace sarebbe importante per la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, per raggiungere la riconciliazione tra il mondo islamico e lo Stato ebraico, e promuovere una vera pace tra Israele e i palestinesi». «E' qualcosa alla nostra portata», ha sottolineato Netanyahu.

Biden ha ammesso che si tratterebbe di una pietra miliare storica. E ci ha anche scherzato su: «Se dieci anni fa avessimo parlato di normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita, penso che ci saremmo guardati l'un l'altro dicendo “chi ha bevuto?”». Washington ha tutto l’interesse a un avvicinamento diplomatico tra Riad e Gerusalemme perché potrebbe implicare garanzie di sicurezza nei rapporti con la monarchia petrolifera.

L'incontro fra Biden e Netanyahu è stato valutato positivamente dal leader centrista Benny Gantz, all'opposizione del governo, che gli ultimi sondaggi danno in costante crescita di popolarità, tanto da superare lo stesso premier. Gantz ha rilevato che Israele e Stati Uniti «condividono interessi strategici e un insieme di valori liberali» e ha sottolineato l'importanza di condurre uno «sforzo storico per portare avanti la pace e la stabilità in Medio Oriente» anche grazie al raggiungimento di un accodo con Riad.

Il "restyling" di ​Mohammed bin Salman

Da Riad è arrivato il commento del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (MbS) che ha espresso parole incoraggianti in merito alla firma di un accordo tra Arabia Saudita e Israele: «Ogni giorno ci avviciniamo sempre di più», ha detto. Mbs, accusato di essere responsabile dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi e di reiterate violazioni dei diritti umani, è impegnato da anni in un'operazione di "restyling" della sua immagine e di quella del Regno. Non senza efficacia, visto che è riuscito a rientrare nella sfera di attenzione degli Stati Uniti. Un processo di normalizzazione con l'"alleato dell'alleato" è nel suo interesse. E non ha mancato di ricordare che i legami tra Riad e Washington risalgono a ottant'anni fa e che un possibile accordo di sicurezza tra le due nazioni "rafforzerebbe" la loro cooperazione militare ed economica. Gioverebbe a Mbs anche un ritrovato ruoio di player nella questione palestinese, oggi ricordata come «molto importante», nel quadro dell’intesa.

​I palestinesi e l'approccio pragmatico

I palestinesi hanno sempre guardato con ostilità agli Accordi di Abramo, considerandoli un “tradimento”. Ma si intravedono sempre di più i segnali di un approccio meno ideologico da parte della dirigenza palestinese: l’Anp ha infatti chiesto all'Arabia Saudita di fare concessioni a Israele in favore della causa palestinese durante questo negoziato. E la Casa Bianca si è fatta garante di questo aspetto fondamentale per tutto il processo auspicando una soluzione a due Stati per il conflitto israelo-palestinese.

​L'isolamento del "rogue state" sciita

A remare in direzione esattamente opposta è il regime di Teheran, sempre pronto ad utilizzare la causa palestinese come arma ideologica buona per tutte le occasioni. «Crediamo che un rapporto tra i Paesi della regione e il regime sionista rappresenterebbe una pugnalata alle spalle del popolo e della resistenza palestinesi», ha detto il presidente iraniano Ebrahim Raisi in una conferenza stampa a margine a a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. «I Paesi della regione nutrono un'inimicizia profonda verso questo regime per i 75 anni di oppressione ai danni della nazione palestinese», ha aggiunto il presidente iraniano. Evidentemente impreparato ad accogliere l’idea che un significativo gruppo di vicini regionali sta muovendo i primi passi proprio per superarla, questa profonda inimicizia.

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