venerdì 30 giugno 2023
Si scatena lo scontro politico, con il presidente Biden che attacca mentre Trump esulta. Obama: ho il cuore spezzato
Studenti davanti alla sede della Corte Suprema a Washington

Studenti davanti alla sede della Corte Suprema a Washington - Ansa

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Sessant’anni dopo, la Corte Suprema archivia la “discriminazione positiva”. Con doppia sentenza, storica e altamente polemica, gli alti giudici hanno proibito alle università e ai college Usa di tenere in considerazione il fattore razziale nel valutare le richieste di ammissione. Una politica di “discriminazione positiva” volta ad attenuare le diseguaglianza nei confronti delle minoranze e applicata da almeno il 40 per cento delle istituzioni accademiche. Non a caso, è diventata prassi dagli anni Sessanta, nel pieno della battaglia dei movimenti afroamericani per i diritti civili.

Ora, però, il contesto «è cambiato» e «ogni allievo deve essere trattato in base alle proprie esperienze e competenze», ha affermato il giudice capo John Roberts nello spiegare le ragioni del verdetto, arrivato dopo anni di battaglia dell’attivista Edward Blum. Il movimento da lui guidato ha fatto causa agli atenei di Harvard e della North Carolina, accusati di ingiusti favoritismi.

La questione è altamente sensibile, specie a poco più di un anno delle presidenziali. Questo spiega la pronta reazione di esultanza di Donald Trump. E la dura sferzata di Joe Biden. «Le discriminazioni esistono, eccome – ha tuonato –. Per questo sono in forte disaccordo con la Corte Suprema. Questa non può essere l’ultima parola sulla questione». Mentre Barack Obama di avere «il cuore spezzato» per la scelta dell’alto tribunale. Quest’ultimo si è espresso varie volte sulla discriminazione positiva, a partire dal 1978. Fino al 2003, però, un’eliminazione sembrava fuori discussione. Poi gli equilibri interni hanno iniziato a cambiare. Vent’anni fa, solo un voto ha salvato la discriminazione positiva. Da allora ci sono stati numerosi intenti di cancellarla, culminati nel verdetto di ieri. Giornata nella quale, gli alti giudici si sono pronunciati anche su un’altra questione “sensibile”: quella religiosa. All’unanimità, i magistrati hanno dato ragione ad un ex postino cui era stata negata l’esenzione dal lavoro per poter praticare la sua fede di cristiano evangelicale. Questa, secondo il massimo tribunale, rappresenta una violazione della legge federale anti-discriminazione legata al Civil Rights Act del 1964, che proibisce ai datori di lavoro discriminazioni su base religiosa, razziale, sessuale o di origine nazionale.

Poco prima, un tribunale federale statunitense aveva bloccato in Kentucky e Tennessee le leggi che nei rispettivi Stati bandiscono la transizione di genere dei minori. Il doppio altolà è arrivato, dopo quelli disposti anche in Arkansas, Alabama, Florida e Indiana. La querelle riguarda la decisione di alcuni Stati a trazione repubblicana di proibire per legge la somministrazione dei bloccanti della pubertà ai bambini a cui è stata diagnosticata la disforia di genere.

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